Parliamo di…. Parola! Empatia
Cari lettori di Cronaca e Legalità News,
iniziamo questa nuova rubrica intitolata Parliamo di… Parola! Una rubrica in cui rifletteremo insieme su alcune parole utili al nostro vivere quotidiano alla luce della Parola di Dio, parola capace di attraversare spazio e tempo e dire sempre qualcosa di nuovo agli uomini e le donne di ogni epoca. Richiameremo alla nostra mente, parole note, che abbiamo sentito e imparato, ma che spesso lasciamo cadere nel dimenticatoio. Parole che possono aprirci squarci di luce nel grigiore e nella monotonia della quotidianità che tutti siamo chiamati ad affrontare. A noi che viviamo nell’era del digitale, che veniamo sollecitati in continuazione a creare password per accedere e navigare nella rete, servono delle “password” per accedere alla bellezza della vita e affrontarla nel migliore dei modi. Ecco perché vorrei proporvi, senza alcuna pretesa di insegnare, alcune di queste parole-chiave, che penso possano darci l’orientamento per navigare nella giusta direzione.
La password che vi propongo oggi è empatia (énpátheia). Una parola che deriva dalla lingua greca ed è composta da due parole, èn (in) e pathos (sentire/soffrire); una parola che significa letteralmente sentire dentro e indica, perciò, la capacità che ogni essere umano possiede di immedesimarsi nella situazione altrui, di mettersi nei panni degli altri, per coglierne i sentimenti, i pensieri e gli stati d’animo. Ad approfondire con rigore scientifico la natura di questa capacità umana, è stata per la prima volta una grande donna e filosofa del secolo scorso, Edith Stein (S. Teresa Benedetta della croce) nata a Breslau nel 1891 e morta nel campo di concentramento di Auschwitz il 09 agosto 1942, dopo essere stata deportata dai nazisti il a causa delle sue origini ebraiche.
La Stein, in un’opera giovanile intitolata Il problema dell’empatia, definisce l’empatia come l’esperienza che un io ha di un altro io, ovvero, l’esperienza che ciascuno di noi può avere della vita interiore e della coscienza di un’altra persona. Ella stessa spiega questa capacità umana con un esempio: “Per capire a fondo l’essenza dell’atto empatico facciamo questo esempio: un amico viene da me e mi dice di aver perduto un fratello e io mi rendo conto del suo dolore. Che cos’è questo rendersi conto? […] forse giungo a saperlo attraverso la percezione del suo volto pallido e sofferente, della sua voce sommessa o quasi afona, forse ancora attraverso le parole con cui egli si esprime […]. Quel che […] vorrei sapere è che cosa sia di per sé un tale rendersi conto” (Il problema dell’empatia, p. 71). L’empatia, dunque, è secondo Edith Stein”La capacità che ognuno di noi possiede di rendersi conto di ciò che vivono gli altri esseri umani nella loro interiorità, di metterci dal loro punto di vista per comprendere meglio i loro pensieri, sentimenti ed emozioni“.
Anche nella Bibbia pur non essendoci un esplicito riferimento alla parola empatia, vi sono, però, tanti esempi che indirettamente la richiamano. Così nel libro dell’Esodo, quando Dio chiama Mosè per affidargli la missione di liberare il suo popolo dalla schiavitù d’Egitto, si rivolge a lui con queste parole: “Ho osservato la miseria del mio popolo in Egitto e ho udito il suo grido a causa dei suoi sovraintendenti: conosco le sue sofferenze”. (Es 3,7). Oppure nel salmo 103 si dice: “perché Egli sa di che siamo plasmati, ricorda che noi siamo polvere” (Sal 103). Dio, dunque, capisce, si rende conto e comprende profondamente ciò che le sue creature vivono, le loro gioie e le loro sofferenze, le loro paure e i loro bisogni più profondi, Egli esercita l’empatia nel più altro grado possibile! Allo stesso modo Gesù nei vangeli ci viene mostrato come un uomo capace di profonda empatia, che si rende conto perfettamente della situazione delle persone che incontra: così ad esempio nell’episodio del paralitico che gli viene calato dinanzi da quattro compagni, egli si rende conto che la paralisi dell’uomo che ha dinanzi è ben più profonda di quella fisica, è interiore! (cfr. Mt 9,1-8) Oppure nell’incontro con persone che pubblicamente erano considerate peccatori/peccatrici, egli si mostra sempre capace di capire la loro situazione interiore e il loro bisogno di redenzione e salvezza (cfr. ad esempio Lc 7,36-50; Lc 19,1-10; Gv 8,1-11). L’esempio più esplicito della capacità empatica di Gesù lo troviamo, però, nell’episodio della resurrezione del figlio della vedova di Nain, dove Gesù coglie la situazione di dolore di una povera vedova che accompagna l’unico figlio ormai morto al sepolcro e interviene risuscitando il giovane e restituendolo alla madre (cfr. Lc 7,11-17).
Anche San Paolo nella lettera ai Romani richiama questa capacità empatica quando esorta i cristiani ad avere gli stessi sentimenti gli uni verso gli altri: “Rallegratevi con quelli che sono nella gioia; piangete con quelli che sono nel pianto abbiate i medesimi sentimenti gli uni verso gli altri” (Rm 12, 15-16).L’empatia, dunque, è una capacità che dovremmo risvegliare e affinare soprattutto nel nostro tempo in cui stiamo disimparando a relazionarci (ormai si comunica persino a tavola con lo smartphone!) e corriamo presi e indaffarati dalle tante incombenze che la vita ci impone, sfiorando solo superficialmente le vite altrui. È una capacità che dovremmo riscoprire nelle nostre famiglie, nella scuola e nei diversi centri di formazione in ogni disciplina, nel mondo della sanità (abbiamo bisogno di medici e personale sanitario capace di empatia e non soltanto freddo esecutore di protocolli!) e nel mondo del lavoro, nelle relazioni sociali e nelle relazioni amicali. Insomma una capacità che è inscritta nelle fibre più profonde della nostra umanità e che non possiamo trascurare, pena il non portare a maturazione profonda la nostra stessa umanità.
Concludo lasciandovi una bellissima citazione di Tommaso da Kempis, un monaco a cui viene attribuita la paternità di un classico della spiritualità cristiana, l’Imitazione di Cristo, e augurandoci di far rifiorire nei nostri rapporti l’empatia, così da essere costruttori di quella civiltà che il grande Giovanni Paolo II definiva la civiltà dell’amore: “Se saprai sorridere con chi sorride, piangere con chi soffre, e saprai amare senza essere riamato, allora, figlio mio, chi potrà contestarti il diritto di esigere una società migliore? Nessuno, perché tu stesso, con le tue mani, l’avrai creata!”.