Il Papa: Gesù sale sulla croce per scendere nella nostra sofferenza.
Alle ore 10.30 di questa mattina il Santo Padre Francesco ha presieduto, all’Altare della Cattedra nella Basilica di San Pietro, la solenne celebrazione liturgica della Domenica delle Palme e della Passione del Signore. Un passaggio delle parole del Papa:” Gesù sale sulla croce per scendere nella nostra sofferenza. Prova i nostri stati d’animo peggiori: il fallimento, il rifiuto di tutti, il tradimento di chi gli vuole bene e persino l’abbandono di Dio. Sperimenta nella sua carne le nostre contraddizioni più laceranti, e così le redime, le trasforma. Il suo amore si avvicina alle nostre fragilità, arriva lì dove noi ci vergogniamo di più. E ora sappiamo di non essere soli: Dio è con noi in ogni ferita, in ogni paura: nessun male, nessun peccato ha l’ultima parola. Dio vince, ma la palma della vittoria passa per il legno della croce. Perciò le palme e la croce stanno insieme. Chiediamo la grazia dello stupore. La vita cristiana, senza stupore, diventa grigiore. Come si può testimoniare la gioia di aver incontrato Gesù, se non ci lasciamo stupire ogni giorno dal suo amore sorprendente, che ci perdona e ci fa ricominciare? Se la fede perde lo stupore diventa sorda: non sente più la meraviglia della Grazia, non sente più il gusto del Pane di vita e della Parola, non percepisce più la bellezza dei fratelli e il dono del creato. E non ha un’altra via che rifugiarsi nei legalismi, nei clericalismi e in tutte queste cose che Gesù condanna nel capitolo 23 di Matteo”. Pubblichiamo di seguito l’omelia che Papa Francesco ha pronunciato dopo la proclamazione della Passione del Signore secondo Marco:
Omelia del Santo Padre
Ogni anno questa Liturgia suscita in noi un atteggiamento di stupore: passiamo dalla gioia di accogliere Gesù che entra in Gerusalemme al dolore di vederlo condannato a morte e crocifisso. È un atteggiamento interiore che ci accompagnerà in tutta la Settimana Santa. Entriamo dunque in questo stupore.Da subito Gesù ci stupisce. La sua gente lo accoglie con solennità, ma Lui entra a Gerusalemme su un umile puledro. La sua gente attende per Pasqua il liberatore potente, ma Gesù viene per compiere la Pasqua con il suo sacrificio. La sua gente si aspetta di celebrare la vittoria sui romani con la spada, ma Gesù viene a celebrare la vittoria di Dio con la croce. Che cosa accadde a quella gente, che in pochi giorni passò dall’osannare Gesù al gridare “crocifiggilo”? Cosa è successo? Quelle persone seguivano più un’immagine di Messia, che non il Messia. Ammiravano Gesù, ma non erano pronte a lasciarsi stupire da Lui. Lo stupore è diverso dall’ammirazione.
L’ammirazione può essere mondana, perché ricerca i propri gusti e le proprie attese; lo stupore, invece, rimane aperto all’altro, alla sua novità. Anche oggi tanti ammirano Gesù: ha parlato bene, ha amato e perdonato, il suo esempio ha cambiato la storia… e così via. Lo ammirano, ma la loro vita non cambia. Perché ammirare Gesù non basta. Occorre seguirlo sulla sua via, lasciarsi mettere in discussione da Lui: passare dall’ammirazione allo stupore. E che cosa maggiormente stupisce del Signore e della sua Pasqua? Il fatto che Lui giunge alla gloria per la via dell’umiliazione. Egli trionfa accogliendo il dolore e la morte, che noi, succubi dell’ammirazione e del successo, eviteremmo. Gesù invece – ci ha detto san Paolo – «svuotò se stesso, […] umiliò se stesso» (Fil 2,7.8). Questo stupisce: vedere l’Onnipotente ridotto a niente. Vedere Lui, la Parola che sa tutto, ammaestrarci in silenzio sulla cattedra della croce. Vedere il re dei re che ha per trono un patibolo. Vedere il Dio dell’universo spoglio di tutto. Vederlo coronato di spine anziché di gloria. Vedere Lui, la bontà in persona, che viene insultato e calpestato. Perché tutta questa umiliazione? Perché, Signore, ti sei lasciato fare tutto questo? Lo ha fatto per noi, per toccare fino in fondo la nostra realtà umana, per attraversare tutta la nostra esistenza, tutto il nostro male. Per avvicinarsi a noi e non lasciarci soli nel dolore e nella morte. Per recuperarci, per salvarci. Gesù sale sulla croce per scendere nella nostra sofferenza. Prova i nostri stati d’animo peggiori: il fallimento, il rifiuto di tutti, il tradimento di chi gli vuole bene e persino l’abbandono di Dio. Sperimenta nella sua carne le nostre contraddizioni più laceranti, e così le redime, le trasforma. Il suo amore si avvicina alle nostre fragilità, arriva lì dove noi ci vergogniamo di più. E ora sappiamo di non essere soli: Dio è con noi in ogni ferita, in ogni paura: nessun male, nessun peccato ha l’ultima parola. Dio vince, ma la palma della vittoria passa per il legno della croce. Perciò le palme e la croce stanno insieme. Chiediamo la grazia dello stupore. La vita cristiana, senza stupore, diventa grigiore. Come si può testimoniare la gioia di aver incontrato Gesù, se non ci lasciamo stupire ogni giorno dal suo amore sorprendente, che ci perdona e ci fa ricominciare? Se la fede perde lo stupore diventa sorda: non sente più la meraviglia della Grazia, non sente più il gusto del Pane di vita e della Parola, non percepisce più la bellezza dei fratelli e il dono del creato. E non ha un’altra via che rifugiarsi nei legalismi, nei clericalismi e in tutte queste cose che Gesù condanna nel capitolo 23 di Matteo.In questa Settimana Santa, alziamo lo sguardo alla croce per ricevere la grazia dello stupore. San Francesco d’Assisi, guardando il Crocifisso, si meravigliava che i suoi frati non piangessero. E noi, riusciamo ancora a lasciarci commuovere dall’amore di Dio? Perché non sappiamo più stupirci davanti a Lui? Perché? Forse perché la nostra fede è stata logorata dall’abitudine. Forse perché restiamo chiusi nei nostri rimpianti e ci lasciamo paralizzare dalle nostre insoddisfazioni. Forse perché abbiamo perso la fiducia in tutto e ci crediamo persino sbagliati. Ma dietro questi “forse” c’è il fatto che non siamo aperti al dono dello Spirito, che è Colui che ci dà la grazia dello stupore. Ripartiamo dallo stupore; guardiamo il Crocifisso e diciamogli: “Signore, quanto mi ami! Quanto sono prezioso per Te!”. Lasciamoci stupire da Gesù per tornare a vivere, perché la grandezza della vita non sta nell’avere e nell’affermarsi, ma nello scoprirsi amati.
Questa è la grandezza della vita: scoprirsi amati. E la grandezza della vita è proprio nella bellezza dell’amore. Nel Crocifisso vediamo Dio umiliato, l’Onnipotente ridotto a uno scarto. E con la grazia dello stupore capiamo che accogliendo chi è scartato, avvicinando chi è umiliato dalla vita, amiamo Gesù: perché Lui è negli ultimi, nei rifiutati, in coloro che la nostra cultura farisaica condanna. Oggi, subito dopo la morte di Gesù, il Vangelo ci svela l’icona più bella dello stupore. È la scena del centurione, che «avendolo visto spirare in quel modo, disse: “Davvero quest’uomo era Figlio di Dio!”» (Mc 15,39). Si è lasciato stupire dall’amore. In che modo aveva visto morire Gesù? Lo ha visto morire amando, e questo lo stupì. Soffriva, era stremato, ma continuava ad amare. Ecco lo stupore davanti a Dio, il quale sa riempire d’amore anche il morire. In questo amore gratuito e inaudito, il centurione, un pagano, trova Dio. Davvero era Figlio di Dio! La sua frase suggella la Passione. Tanti prima di lui nel Vangelo, ammirando Gesù per i suoi miracoli e prodigi, lo avevano riconosciuto Figlio di Dio, ma Cristo stesso li aveva messi a tacere, perché c’era il rischio di fermarsi all’ammirazione mondana, all’idea di un Dio da adorare e temere in quanto potente e terribile. Ora non più, sotto la croce non si può più fraintendere: Dio si è svelato e regna solo con la forza disarmata e disarmante dell’amore. Fratelli e sorelle, oggi Dio stupisce ancora la nostra mente e il nostro cuore. Lasciamo che questo stupore ci pervada, guardiamo il Crocifisso e diciamo anche noi: “Tu sei davvero il Figlio di Dio. Tu sei il mio Dio”.