Il Papa: I responsabili religiosi e civili sappiano guardare al di fuori dei propri confini, delle proprie comunità, per prendersi cura dell’insieme
Quasi sessant’anni fa il Concilio Vaticano II, parlando della costruzione dell’edificio della pace, affermava che «tale opera esige che [gli uomini] dilatino la loro mente e il loro cuore al di là dei confini della propria nazione, deponendo ogni egoismo nazionale ed ogni ambizione di supremazia su altre nazioni, e nutrendo invece un profondo rispetto verso tutta l’umanità, avviata ormai faticosamente verso una maggiore unità» (Gaudium et spes, 82). In Bahrein ho avvertito questa esigenza e ho auspicato che, in tutto il mondo, i responsabili religiosi e civili sappiano guardare al di fuori dei propri confini, delle proprie comunità, per prendersi cura dell’insieme. Solo così si possono affrontare certi temi universali, per esempio la dimenticanza di Dio, la tragedia della fame, la custodia del creato, la pace. Insieme, si pensa questo. In questo senso il Forum di dialogo, dal titolo “Est e Ovest per la coesistenza umana”, ha esortato a scegliere la via dell’incontro e a rifiutare quella dello scontro. Quanto bisogno ne abbiamo! Quanto bisogno abbiamo di incontrarci! Penso alla folle guerra – folle! – di cui è vittima la martoriata Ucraina, e a tanti altri conflitti, che non si risolveranno mai attraverso l’infantile logica delle armi, ma solo con la forza mite del dialogo. Ma oltre l’Ucraina, che è martoriata, pensiamo alle guerre che durano da anni, e pensiamo alla Siria – più di 10 anni! – pensiamo ad esempio alla Siria, pensiamo ai bambini dello Yemen, pensiamo al Myanmar: dappertutto! Adesso, più vicina è l’Ucraina, a cosa fanno le guerre? Distruggono, distruggono l’umanità, distruggono tutto. I conflitti non vanno risolti attraverso la guerra.
L’Udienza Generale di questa mattina si è svolta alle ore 9.00 in Piazza San Pietro, dove Papa Francesco ha incontrato gruppi di pellegrini e fedeli provenienti dall’Italia e da ogni parte del mondo.Nel discorso in lingua italiana il Papa ha incentrato la Sua meditazione sul Suo recente Viaggio Apostolico in Bahrein. Dopo aver riassunto la Sua catechesi nelle diverse lingue, il Santo Padre ha indirizzato particolari espressioni di saluto ai fedeli presenti. L’Udienza Generale si è conclusa con la recita del Pater Noster e la Benedizione Apostolica.
Catechesi del Santo Padre
Cari fratelli e sorelle, buongiorno! Prima di parlare su quello che ho preparato, vorrei attirare l’attenzione su questi due ragazzi che sono venuti qui. Loro non hanno chiesto permesso, loro non hanno detto: “Ah, ho paura”: sono venuti direttamente. Così noi dobbiamo essere con Dio: direttamente. Ci hanno dato esempio di come dobbiamo comportarci con Dio, con il Signore: andare avanti! Lui ci aspetta sempre. Mi ha fatto bene vedere la fiducia di questi due bambini: è stato un esempio per tutti noi. Così dobbiamo avvicinarci sempre al Signore: con libertà. Grazie. Tre giorni fa sono rientrato dal viaggio nel Regno del Bahrein, che io non conoscevo, davvero: non sapevo bene come fosse, quel regno. Desidero ringraziare tutti coloro che hanno accompagnato questa visita con il sostegno della preghiera, e rinnovare la mia riconoscenza a Sua Maestà il Re, alle altre Autorità, alla Chiesa locale e alla popolazione per la calorosa accoglienza. E anche, voglio ringraziare gli organizzatori dei viaggi: per fare questo viaggio c’è un movimento di gente, la Segreteria di Stato lavora tanto per preparare i discorsi, per preparare la logistica, tutto, si muovono in tanti … poi, i traduttori … e poi, il Corpo della Gendarmeria, il Corpo della Guardia svizzera, che sono bravissimi. È un lavoro enorme! Tutti, tutti quanti vorrei ringraziarvi pubblicamente per tutto quello che fate perché un viaggio del Papa vada bene. Grazie.
Viene spontaneo chiedersi: perché il Papa ha voluto visitare questo piccolo Paese a grandissima maggioranza islamica? Ci sono tanti Paesi cristiani: perché non va prima da uno o dall’altro? Vorrei rispondere attraverso tre parole: dialogo, incontro e cammino.
Dialogo: l’occasione del Viaggio, desiderato da tempo, è stata offerta dall’invito del Re a un Forum sul dialogo tra Oriente e Occidente. Dialogo che serve a scoprire la ricchezza di chi appartiene ad altre genti, ad altre tradizioni, ad altri credo. Il Bahrein, un arcipelago formato da tante isole, ci ha aiutato a capire che non si deve vivere isolandosi, ma avvicinandosi. Nel Bahrein, che sono isole, si sono avvicinati, si sfiorano. Lo esige la causa della pace, e il dialogo è “l’ossigeno della pace”. Non dimenticatevi questo: il dialogo è l’ossigeno della pace. Anche nella pace domestica. Se è stata fatta una guerra lì, fra marito e moglie, poi con il dialogo si va avanti con la pace. In famiglia, dialogare pure: dialogare, perché con il dialogo si custodisce la pace. Quasi sessant’anni fa il Concilio Vaticano II, parlando della costruzione dell’edificio della pace, affermava che «tale opera esige che [gli uomini] dilatino la loro mente e il loro cuore al di là dei confini della propria nazione, deponendo ogni egoismo nazionale ed ogni ambizione di supremazia su altre nazioni, e nutrendo invece un profondo rispetto verso tutta l’umanità, avviata ormai faticosamente verso una maggiore unità» (Gaudium et spes, 82). In Bahrein ho avvertito questa esigenza e ho auspicato che, in tutto il mondo, i responsabili religiosi e civili sappiano guardare al di fuori dei propri confini, delle proprie comunità, per prendersi cura dell’insieme. Solo così si possono affrontare certi temi universali, per esempio la dimenticanza di Dio, la tragedia della fame, la custodia del creato, la pace. Insieme, si pensa questo. In questo senso il Forum di dialogo, dal titolo “Est e Ovest per la coesistenza umana”, ha esortato a scegliere la via dell’incontro e a rifiutare quella dello scontro. Quanto bisogno ne abbiamo! Quanto bisogno abbiamo di incontrarci! Penso alla folle guerra – folle! – di cui è vittima la martoriata Ucraina, e a tanti altri conflitti, che non si risolveranno mai attraverso l’infantile logica delle armi, ma solo con la forza mite del dialogo. Ma oltre l’Ucraina, che è martoriata, pensiamo alle guerre che durano da anni, e pensiamo alla Siria – più di 10 anni! – pensiamo ad esempio alla Siria, pensiamo ai bambini dello Yemen, pensiamo al Myanmar: dappertutto! Adesso, più vicina è l’Ucraina, a cosa fanno le guerre? Distruggono, distruggono l’umanità, distruggono tutto. I conflitti non vanno risolti attraverso la guerra.
Ma non ci può essere dialogo senza – seconda parola – incontro. In Bahrein ci siamo incontrati, e più volte ho sentito emergere il desiderio che tra cristiani e musulmani gli incontri aumentino, che si stringano rapporti più saldi, che ci si prenda maggiormente a cuore. In Bahrein – come si usa in oriente – le persone si portano la mano al cuore quando salutano qualcuno. L’ho fatto anch’io, per fare spazio dentro di me a chi incontravo. Perché, senza accoglienza, il dialogo resta vuoto, apparente, rimane questione di idee e non di realtà. Tra i tanti incontri, ripenso a quello con il caro Fratello, il Grande Imam di Al-Azhar – caro fratello!; e a quello con i giovani della Scuola del Sacro Cuore, studenti che ci hanno dato un grande insegnamento: studiano insieme, cristiani e musulmani. Da giovani, da ragazzi, da bambini occorre conoscersi, così che l’incontro fraterno prevenga le divisioni ideologiche. E qui voglio ringraziare la Scuola del Sacro Cuore, ringraziare suor Rosalyn che ha portato avanti questa scuola tanto bene, e i ragazzi che hanno partecipato con i discorsi, con le preghiere, il ballo, il canto: li ricordo bene! Grazie tante. Ma anche gli anziani hanno offerto una testimonianza di saggezza fraterna: ripenso all’incontro con il Muslim Council of Elders, un’organizzazione internazionale nata pochi anni fa, che promuove buoni rapporti tra le comunità islamiche, all’insegna del rispetto, della moderazione e della pace, opponendosi all’integralismo e alla violenza.
Così andiamo verso la terza parola: cammino. Il viaggio in Bahrein non va visto come un episodio isolato, fa parte di un percorso, inaugurato da San Giovanni Paolo II quando si recò in Marocco. Così, la prima visita di un Papa in Bahrein ha rappresentato un nuovo passo nel cammino tra credenti cristiani e musulmani: non per confonderci o annacquare la fede, no: il dialogo non annacqua; ma per costruire alleanze fraterne nel nome del padre Abramo, che fu pellegrino sulla terra sotto lo sguardo misericordioso dell’unico Dio del Cielo, Dio della pace. Per questo il motto del viaggio era: “Pace in terra agli uomini di buona volontà”. E perché dico che il dialogo non annacqua? Perché per dialogare bisogna avere identità propria, si deve partire dalla propria identità. Se tu non hai identità, tu non puoi dialogare, perché non capisci neppure tu cosa sei. Perché un dialogo sia buono, si deve sempre partire dalla propria identità, essere consci della propria identità, e così si può dialogare.
Dialogo, incontro e cammino in Bahrein si sono realizzati anche tra i cristiani: per esempio, il primo incontro, infatti, è stato ecumenico, di preghiera per la pace, con il caro Patriarca e Fratello Bartolomeo e con fratelli e sorelle di varie confessioni e riti. Ha avuto luogo nella Cattedrale, dedicata a Nostra Signora d’Arabia, la cui struttura evoca una tenda, quella in cui, secondo la Bibbia, Dio incontrava Mosè nel deserto, lungo il cammino. I fratelli e le sorelle nella fede, che ho incontrato in Bahrein, vivono davvero “in cammino”: sono per la maggior parte lavoratori immigrati che, lontani da casa, ritrovano le loro radici nel Popolo di Dio e la loro famiglia nella grande famiglia della Chiesa. È meraviglioso vedere questi migranti, filippini, indiani e di altre parti, cristiani che si radunano e si sostengono nella fede. E questi vanno avanti con gioia, nella certezza che la speranza di Dio non delude (cfr Rm 5,5). Incontrando i Pastori, i consacrati e le consacrate, gli operatori pastorali e, nella festosa e commovente Messa celebrata allo stadio, tanti fedeli, provenienti anche da altri Paesi del Golfo, ho portato loro l’affetto di tutta la Chiesa. Questo è stato il viaggio.
E oggi vorrei trasmettere a voi la loro gioia genuina, semplice e bella. Incontrandoci e pregando insieme, ci siamo sentiti un cuore solo e un’anima sola. Pensando al loro cammino, alla loro esperienza quotidiana di dialogo, sentiamoci tutti chiamati a dilatare gli orizzonti: per favore, cuori dilatati, non cuori chiusi, duri. Aprite i cuori, perché siamo fratelli tutti e perché questa fratellanza umana vada più avanti. Dilatare gli orizzonti, aprire, allargare gli interessi e dedicarci alla conoscenza degli altri. Se tu ti dedichi alla conoscenza degli altri, mai sarai minacciato. Ma se tu hai paura degli altri, tu stesso sarai per loro una minaccia. Il cammino della fraternità e della pace, per procedere, ha bisogno di tutti e di ciascuno. Io do la mano, ma se dall’altra parte non c’è un’altra mano, non serve. La Madonna ci aiuti in questo cammino! Grazie!
Sabato scorso a Meru (Kenya) è stata beatificata Suor Maria Carola Cecchin, della Congregazione delle Suore di San Giuseppe Benedetto Cottolengo, morta nel 1925, all’età di 48 anni, dopo aver testimoniato il Vangelo della carità alle popolazioni africane. Il suo esempio di donna buona e saggia sostenga quanti si adoperano per la diffusione del Regno di Dio. Un applauso alla nuova beata! Il mio pensiero va ora al popolo cipriota, in lutto nazionale per la scomparsa di Sua Beatitudine Chrisostomos II. È stato pastore lungimirante, uomo di dialogo e amante della pace, che ha cercato di promuovere la riconciliazione fra le differenti comunità del Paese. Ricordo con affetto grato gli incontri fraterni che abbiamo condiviso a Cipro, durante la mia visita dell’anno scorso. Preghiamo per il riposo eterno della sua anima.Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana. In particolare, saluto la comunità vocazionale del Seminario di Pordenone con il Vescovo, le scuole-calcio di Bellante, l’Associazione Marinai di Taranto. Rinnovo il mio invito alla preghiera per la martoriata Ucraina: chiediamo al Signore la pace per questa gente così tribolata e che soffre tanta crudeltà, tanta crudeltà da parte dei mercenari che fanno la guerra.Il mio pensiero va infine, come di consueto, ai giovani, ai malati, agli anziani e agli sposi novelli. Oggi celebriamo la festa della Dedicazione della Basilica di San Giovanni in Laterano. Insieme con essa ricordiamo le chiese in cui si raccolgono le vostre comunità per celebrare i divini misteri. Il legame con la vostra chiesa accresca in ciascuno la gioia di camminare insieme nel servizio al Vangelo, nell’offerta della preghiera e nella condivisione della carità. A tutti la mia benedizione.