Apertura del 94° Anno Giudiziario del Tribunale dello Stato della Città del Vaticano
Questa mattina, nel Palazzo Apostolico Vaticano, il Santo Padre Francesco ha presieduto l’inaugurazione del 94° Anno Giudiziario del Tribunale dello Stato della Città del Vaticano. Pubblichiamo di seguito il discorso che il Papa ha rivolto ai presenti:
Illustri Signore e Signori! Sono lieto di incontrarvi per l’inaugurazione del 94º anno giudiziario del Tribunale dello Stato della Città del Vaticano e rivolgo a tutti voi il mio saluto cordiale.
Ringrazio per la loro presenza il Sig. Ministro della Giustizia Carlo Nordio e il Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Alfredo Mantovano.
Saluto il Presidente del Tribunale, Giuseppe Pignatone, e il Promotore di Giustizia, Alessandro Diddi, insieme ai Magistrati dei rispettivi uffici. Vi ringrazio per l’impegno generoso e competente posto nell’amministrazione della giustizia, che nel corso dell’ultimo anno è risultato particolarmente gravoso. Ringrazio per questo anche i vostri collaboratori e il personale del Corpo della Gendarmeria, sempre disponibili a fornire il supporto necessario all’esercizio delle vostre delicate responsabilità.
Mi rallegro per la presenza di diversi rappresentanti dei più alti organi giurisdizionali dello Stato italiano, che saluto e ringrazio, auspicando che questa occasione possa aiutare la conoscenza e il dialogo fra persone impegnate nel mondo delle istituzioni e in particolare della giustizia.
Il tempo trascorso dal nostro ultimo incontro è stato purtroppo segnato da eventi gravi e imprevisti, che hanno determinato profonde lacerazioni.
Dopo la terribile prova della pandemia, con il suo seguito pesante di lutti e di crisi, abbiamo sperato in una pronta ripresa, alimentata e sostenuta da un diffuso spirito di solidarietà. Abbiamo auspicato e operato affinché si mettessero da parte gli egoismi e la sete di profitto per cercare di ripartire insieme, a livello nazionale e sovranazionale, dimostrando senso di responsabilità e capacità di collaborazione.
Grazie a Dio, in molte parti del pianeta e in molte iniziative questa speranza e questo auspicio hanno trovato concreta realizzazione, con l’impegno fianco a fianco di credenti e non credenti.
Purtroppo, proprio mentre si cercava di progredire in questo percorso di graduale ripresa, lo scoppio del conflitto in Ucraina e la sua tragica evoluzione hanno fatto ripiombare il mondo intero in una crisi profonda, aggravata dai molteplici focolai di guerra che continuano a divampare anche in altre nazioni.In effetti, ci sono guerre che a volte toccano più da vicino, ma la realtà è che i conflitti nel mondo sono tanti, e sono una sorta di autodistruzione (cfrConferenza-stampa nel volo di ritorno dal Sud Sudan, 5 febbraio 2023).
Di fronte a questi scenari, cresce in noi l’anelito alla pace e alla giustizia. Si rafforza nella nostra coscienza, fino a diventare imperativo, il bisogno di dare testimonianza per aiutare a costruire la pace e la giustizia.
Come ho ricordato nel recente viaggio nella Repubblica Democratica del Congo, «in un mondo scoraggiato per la violenza e la guerra, i cristiani fanno come Gesù. Lui, quasi insistendo, ha ripetuto ai discepoli:Pace, pacea voi!(cfrGv20,19.21); e noi siamo chiamati a fare nostro e dire al mondo questo annuncio insperato e profetico del Signore, annuncio di pace. […] Sì, i cristiani, mandati da Cristo, sono chiamati per definizione a esserecoscienza di pace del mondo»(Omelia della Messa a Kinshasa, 1° febbraio 2023).
Ogni impegno per la pace implica e richiede l’impegno per la giustizia. La pace senza giustizia non è una vera pace, non ha solide fondamenta né possibilità di futuro. E la giustizia non è un’astrazione o un’utopia. Nella Bibbia, essa è l’adempimento onesto e fedele di ogni dovere verso Dio, è compiere la sua volontà. Non è solo il frutto diun insieme di regole da applicare con perizia tecnica, ma è la virtù per cui diamo a ciascuno ciò che gli spetta, indispensabile per il corretto funzionamento di ogni ambito della vita comune e perché ognuno possa condurre una vita serena. Una virtù da coltivare mediante l’impegno di conversione personale e da esercitare insieme alle altre virtù cardinali della prudenza, della fortezza e della temperanza[1].
Questa virtù è affidata in modo eminente alla responsabilità di quanti sono impegnati nell’ambito giudiziario, per consentire il ristabilimento della pace violata fra i diversi soggetti della comunità in contesa fra loro e in seno alla comunità.
In tale prospettiva operano i Tribunali dello Stato della Città del Vaticano, che svolgono a vantaggio della Santa Sede un ruolo prezioso quando si tratta di dirimere contese di natura civile o penale. Sono controversie che, per loro natura, esulano dall’ambito di competenza dei Tribunali della Santa Sede e dei tribunali canonici e devono essere giudicate in base a un complesso intreccio di fonti canoniche e civili, qual è quello previsto dall’ordinamento vaticano, la cui applicazione richiede specifiche competenze.
Negli ultimi anni queste controversie giuridiche e i relativi processi sono aumentati, come pure è aumentata, in non pochi casi, la gravità delle condotte che vengono in rilievo, soprattutto nell’ambito della gestione patrimoniale e finanziaria. Qui bisogna essere chiari ed evitare il rischio di “confondere il dito con la luna”: il problema non sono i processi, ma i fatti e i comportamenti che li determinano e li rendono dolorosamente necessari.Infatti, tali comportamenti, da parte di membri della Chiesa, nuocciono gravemente alla sua efficacia nel riflettere la luce divina. Grazie a Dio, però, «non vengono meno […] né il desiderio profondo di questa luce né la disponibilità della Chiesa ad accoglierla e condividerla»[2], perché idiscepoli di Cristo sono «chiamati ad essere“luce del mondo” (Mt5,14). Questo è il modo con cui la Chiesa riflette l’amore salvifico di Cristo che è la Luce del mondo (cfrGv8,12)»[3].
Cari fratelli e sorelle, la Chiesa «adempie il suo mandato soprattutto quando testimonia, in parole e opere, la misericordia che ella stessa gratuitamente ha ricevuto»[4]. «Com’è bella questa realtà della fede per la nostra vita: lamisericordiadi Dio! Un amore così grande, così profondo quello di Dio verso di noi, un amore che non viene meno, sempre afferra la nostra mano e ci sorregge, ci rialza, ci guida»[5].Un amore che si fa vicino, misericordioso e tenero.
Con questo atteggiamento di misericordia e di vicinanza siamo chiamati a guardare i fratelli e le sorelle, soprattutto quando sono in difficoltà, quando sbagliano, quando sono sottoposti alla prova del giudizio. Una prova che a volte è necessaria, quando si tratta di accertare condotte che offuscano il volto della Chiesa e destano scandalo nella comunità dei fedeli.È di aiuto a tal fine l’esercizio di un rigoroso discernimento, che «impedisce di sviluppare una morale fredda da scrivania nel trattare i temi più delicati»[6]; come pure il prudente ricorso al canone dell’equità, che può favorire la ricerca del necessario equilibrio fra giustizia e misericordia. Misericordia e giustizia non sono alternative ma camminano insieme, procedono in equilibrio verso lo stesso fine, perché la misericordianon è la sospensione della giustizia, ma il suo compimento (cfrRm13,8-10).
Cari Magistrati, la via della giustizia rende possibile una fraternità in cui tutti sono tutelati, specialmente i più deboli. Auguro a tutti voi di operare mantenendo sempre viva questa consapevolezza e la tensione verso la verità. Vi benedico e vi assicuro la mia preghiera. Anche voi, per favore, non dimenticatevi di pregare per me. Grazie.