Udienza di Papa Francesco ai Membri dell’Associazione Nazionale fra Lavoratori Mutilati e Invalidi del Lavoro (ANMIL)
Questa mattina, nel Palazzo Apostolico Vaticano, il Santo Padre Francesco ha ricevuto in Udienza i Membri dell’Associazione Nazionale fra Lavoratori Mutilati e Invalidi del Lavoro (ANMIL) in occasione dell’80.mo anniversario della fondazione.
Pubblichiamo di seguito il discorso che il Papa ha rivolto ai presenti nel corso dell’incontro:
Discorso del Santo Padre
Cari fratelli e sorelle, buongiorno! Vi do il benvenuto in occasione dell’ottantesimo anniversario della vostra associazione. Era il 1943, anno decisivo per l’Italia nella seconda guerra mondiale. Avete mosso i primi passi in quel contesto, che ci ricorda che ogni conflitto armato porta con sé schiere di mutilati, anche oggi; e che la popolazione civile soffre le drammatiche conseguenze di quella follia che è la guerra. Finito il conflitto, rimangono le macerie, anche nei corpi e nei cuori, e la pace va ricostruita giorno per giorno, anno per anno, attraverso la tutela e la promozione della vita e della sua dignità, a partire dai più deboli e, a partire dai più svantaggiati.
Oggi, allora, vorrei esprimere un sentito ringraziamento a tutti voi. Grazie anzitutto per quello che continuate a fare per la tutela e la rappresentanza delle vittime di infortuni sul lavoro, delle vedove e degli orfani dei caduti. Ancora ho in mente i cinque fratelli ammazzati da un treno mentre stavano lavorando. Grazie perché tenete alta l’attenzione sul tema della sicurezza nei luoghi di lavoro, dove accadono ancora troppe morti e disgrazie. Grazie per le iniziative che promuovete per migliorare la legislazione civile in materia di infortuni sul lavoro e di reinserimento professionale delle persone che si trovano in condizione di invalidità. Si tratta, infatti, non solo di garantire la giusta cura assistenziale e previdenziale verso chi soffre forme di disabilità, ma anche di dare nuove opportunità a persone che possono essere reinserite e la cui dignità chiede di essere riconosciuta in pienezza. Grazie, infine, per la vostra opera di sensibilizzazione dell’opinione pubblica sulla prevenzione degli infortuni e sulle politiche della sicurezza, in particolare in favore delle donne e dei giovani. Le tragedie e i drammi nei luoghi di lavoro purtroppo non cessano, nonostante la tecnologia di cui disponiamo per favorire luoghi e tempi sicuri. A volte sembra di sentire un bollettino di guerra. Questo accade quando il lavoro si disumanizza e, anziché essere lo strumento con cui l’essere umano realizza sé stesso mettendosi a disposizione della comunità, diventa una corsa esasperata al profitto. E questo è brutto. Le tragedie iniziano quando il fine non è più l’uomo, ma la produttività, e l’uomo diventa una macchina di produzione. Amici, i compiti educativi e formativi che vi aspettano sono ancora fondamentali, sia nei riguardi dei lavoratori, sia dei datori di lavoro, sia all’interno della società. La sicurezza sul lavoro è come l’aria che respiriamo: ci accorgiamo della sua importanza solo quando viene tragicamente a mancare, ed è sempre troppo tardi!
La parabola del Buon Samaritano (cfr Lc 10,30-37) si ripete: davanti alle persone ferite e che rischiano l’abbandono sul ciglio della strada della vita possiamo fare come quei due personaggi religiosi, il sacerdote e il levita che, per non contaminarsi, non si fermano e tirano dritto, nell’indifferenza. E nel mondo del lavoro a volte succede proprio così: si va avanti, come se nulla fosse, devoti all’idolatria del mercato. Ma non possiamo abituarci agli incidenti sul lavoro, né rassegnarci all’indifferenza verso gli infortuni. Non possiamo accettare lo scarto della vita umana. Le morti e gli infortuni sono un tragico impoverimento sociale che riguarda tutti, non solo le imprese o le famiglie coinvolte. Non dobbiamo stancarci di imparare e reimparare l’arte del prenderci cura, in nome della comune umanità. La sicurezza, infatti, non è solo garantita da una buona legislazione, che va fatta rispettare, ma anche dalla capacità di vivere da fratelli e sorelle nei luoghi di lavoro.
L’Apostolo Paolo, riflettendo sul valore della corporeità, pone una domanda estremamente attuale: «Non sapete che il vostro corpo è tempio dello Spirito Santo, che è in voi? Lo avete ricevuto da Dio e voi non appartenete a voi stessi». E conclude: «Glorificate Dio nel vostro corpo!» (1 Cor 6,19-20). San Paolo si riferisce all’affettività, ma possiamo allargare lo sguardo anche al mondo del lavoro. Se il corpo è tempio dello Spirito Santo, significa che, curandone le fragilità, rendiamo lode a Dio. L’umanità è dunque “luogo di culto” e la cura è l’atteggiamento con cui collaboriamo all’opera stessa del Creatore. A tanto arriva la fede cristiana: la centralità della persona, in quanto tempio dello Spirito Santo, non conosce scarti, non conosce compravendite o baratti sulla vita umana. Non si può, in nome di un maggior profitto, chiedere troppe ore lavorative, facendo diminuire la concentrazione, oppure pensare di annoverare le forme assicurative o le richieste di sicurezza come spese inutili e perdite di guadagno.
La sicurezza sul lavoro è parte integrante della cura della persona. Anzi, per un datore di lavoro, è il primo dovere e la prima forma di bene. Sono invece diffuse forme che vanno in senso opposto e che in una parola si possono chiamare di carewashing. Accade quando imprenditori o legislatori, invece di investire sulla sicurezza, preferiscono lavarsi la coscienza con qualche opera benefica. È brutto. Così antepongono la loro immagine pubblica a tutto il resto, facendosi benefattori nella cultura o nello sport, nelle opere buone, rendendo fruibili opere d’arte o edifici di culto, ma non prestando attenzione al fatto che, come insegna un grande padre e dottore della Chiesa, «la gloria di Dio è l’uomo vivente» (Sant’Ireneo di Lione, Contro le eresie, IV,20,7). Questo è il primo lavoro: prendersi cura dei fratelli e delle sorelle, del corpo dei fratelli e delle sorelle. La responsabilità verso i lavoratori è prioritaria: la vita non si smercia per alcuna ragione, tanto più se è povera, precaria e fragile. Siamo esseri umani e non macchinari, persone uniche e non pezzi di ricambio. E tante volte alcuni operatori sono trattati come pezzi di ricambio.
Per questo, rinnovo la mia gratitudine per il vostro impegno e vi incoraggio ad andare avanti, per aiutare la società a progredire dal punto di vista culturale, a comprendere che l’essere umano viene prima dell’interesse economico, che ogni persona è un dono per la comunità e che mutilarne o renderne invalida una sola ferisce l’intero tessuto sociale. Vi affido alla protezione di San Giuseppe, patrono di tutti i lavoratori. Il Signore vi benedica e la Madonna vi custodisca. E voi, per favore, pregate per me, ne ho bisogno. Grazie!