Viaggio Apostolico di Papa Francesco in Indonesia, Papua Nuova Guinea, Timor-Leste, Singapore. Santa Messa nella Spianata di Taci Tolu

Nel pomeriggio, lasciata la Nunziatura Apostolica, il Santo Padre si è trasferito in auto nella Spianata di Taci Tolu per la celebrazione della Santa Messa.

Al Suo arrivo, il Papa ha assistito a una danza tradizionale di benvenuto tipica dell’accoglienza timorese e ha salutato alcune persone con disabilità. Alle ore 16.30 (9.30 ora di Roma) Papa Francesco ha presieduto la Celebrazione Eucaristica.

Nel corso della Santa Messa, dopo la proclamazione del Vangelo, il Papa ha pronunciato l’omelia.

Al termine della Celebrazione, dopo le parole di ringraziamento dell’Arcivescovo di Dili, Em.mo Card. Virgílio do Carmo da Silva, il Papa, dopo aver effettuato un giro tra i fedeli, è rientrato in auto alla Nunziatura Apostolica.

Hanno partecipato alla Santa Messa nella spianata e nelle aree vicine circa 600.000 fedeli.

Pubblichiamo di seguito l’omelia che Papa Francesco ha pronunciato nel corso della Celebrazione della Santa Messa e le parole a braccio rivolte ai fedeli al termine della Messa:

«Un bambino è nato per noi, ci è stato dato un figlio» (Is 9,5).

Queste sono le parole con cui il profeta Isaia si rivolge, nella prima Lettura, agli abitanti di Gerusalemme, in un momento prospero per la città, caratterizzato però, purtroppo, anche da una grande decadenza morale.

C’è tanta ricchezza, ma il benessere acceca i potenti, li illude di bastare a sé stessi, di non aver bisogno del Signore, e la loro presunzione li porta ad essere egoisti e ingiusti. Per questo, anche se ci sono tanti beni, i poveri sono abbandonati e soffrono la fame, l’infedeltà dilaga e la pratica religiosa si riduce sempre più a pura formalità. La facciata ingannevole di un mondo a prima vista perfetto nasconde così una realtà molto più oscura, molto più dura e crudele, in cui c’è tanto bisogno di conversione, di misericordia e di guarigione.

Per questo il profeta annuncia ai suoi concittadini un orizzonte nuovo, che Dio aprirà davanti a loro: un futuro di speranza, un futuro di gioia, dove la sopraffazione e la guerra saranno bandite per sempre (cfr Is 9,1-4). Farà sorgere per loro una grande luce (cfr v. 1) che li libererà dalle tenebre del peccato da cui sono oppressi, e lo farà non con la potenza di eserciti, di armi o ricchezze, ma attraverso il dono di un figlio (cfr vv. 5-6).

Fermiamoci a riflettere su questa immagine: Dio fa splendere la sua luce che salva attraverso il dono di un figlio.

In ogni luogo la nascita di un figlio è un momento luminoso, un momento di gioia e di festa, e a volte suscita anche in noi desideri buoni, di rinnovarci nel bene, di ritornare alla purezza e alla semplicità. Di fronte ad un neonato, anche il cuore più duro si riscalda e si riempie di tenerezza. La fragilità di un bambino porta sempre un messaggio così forte da toccare anche gli animi più induriti, portando con sé movimenti e propositi di armonia e di serenità. È meraviglioso, fratelli e sorelle, quello che succede alla nascita di un bambino!

La vicinanza di Dio è attraverso un bambino. Dio si fa bambino. E non solo per stupirci e commuoverci, ma anche per aprirci all’amore del Padre e lasciarcene plasmare, perché possa guarire le nostre ferite, ricomporre i nostri dissensi, rimettere ordine nella nostra esistenza.

A Timor Est è bello, perchè ci sono tanti bambini: siete un Paese giovane in cui in ogni angolo si sente pulsare, esplodere la vita. E questo è un regalo, un dono grande: la presenza di tanta gioventù e di tanti bambini, infatti, rinnova costantemente la nostra energia e la nostra vita. Ma ancora di più è un segno, perché fare spazio ai bambini, ai piccoli, accoglierli, prendersi cura di loro, e farci anche noi piccoli davanti a Dio e gli uni di fronte agli altri, sono proprio gli atteggiamenti che ci aprono all’azione del Signore. Facendoci bambini permettiamo l’azione di Dio in noi. Oggi veneriamo la Madonna come Regina, cioè la madre di un Re, Gesù, che ha voluto nascere piccolo, farsi nostro fratello, chiedendo il “sì” di una giovane umile e fragile (cfr Lc 1,38).

Maria questo lo ha capito, al punto che ha scelto di rimanere piccola per tutta la vita, di farsi sempre più piccola, servendo, pregando, scomparendo per far posto a Gesù, anche quando questo le è costato molto.

Perciò, cari fratelli, care sorelle, non abbiamo paura di farci piccoli davanti a Dio, e gli uni di fronte agli altri, non abbiamo paura di perdere la nostra vita, di donare il nostro tempo, di rivedere i nostri programmi e ridimensionare quando necessario anche i nostri progetti, non per sminuirli, ma per renderli ancora più belli attraverso il dono di noi stessi e l’accoglienza degli altri.

Tutto questo è simboleggiato molto bene da due bellissimi monili tradizionali di questa terra: il Kaibauk e il Belak. Tutti e due sono di metallo prezioso. Vuol dire che sono importanti!

Il primo simboleggia le corna del bufalo e la luce del sole, e si mette in alto, a ornamento della fronte, come pure sulla sommità delle abitazioni. Esso parla di forza, di energia e di calore, e può rappresentare la potenza di Dio, che dona la vita. Ma non solo: posto a livello del capo, infatti, e in cima alle case, ci ricorda che, con la luce della Parola del Signore e con la forza della sua grazia, anche noi possiamo cooperare con le nostre scelte e azioni al grande disegno della redenzione.

Il secondo, poi, il Belak, che si mette sul petto, è complementare al primo. Ricorda il chiarore delicato della luna, che riflette umilmente, nella notte, la luce del sole, avvolgendo ogni cosa di una fluorescenza leggera. Parla di pace, di fertilità, di dolcezza, e simboleggia la tenerezza della madre, che coi riflessi delicati del suo amore rende ciò che tocca luminoso della stessa luce che riceve da Dio.

Kaibauk e Belak, forza e tenerezza di Padre e di Madre: così Il Signore manifesta la sua regalità, fatta carità e misericordia.

E allora chiediamo insieme, in questa Eucaristia, ciascuno di noi, come donne e uomini, come Chiesa, come società, di saper riflettere nel mondo la luce forte, la luce tenera del Dio dell’amore, di quel Dio che, come abbiamo pregato nel Salmo responsoriale, «solleva dalla polvere il debole, dall’immondizia rialza il povero, per farlo sedere tra i principi […]» (Sal 113,7-8).

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