Edith Stein e la ricerca della verità
Cari lettori e lettrici di Cronaca e Legalità News,la password che vi propongo questa settimana è verità. Una parola molto scomoda nella nostra cultura contemporanea e poco utilizzata, in quanto oggi si ragiona più o meno in questi termini: non esiste una verità, esiste al massimo la mia verità, la tua verità. La cosa fondamentale è che la mia e la tua verità non si urtino, non si disturbino, ma convivano serenamente insieme. La ragione è debole e incapace di attingere qualunque verità oggettiva. È il relativismo che tante volte il papa emerito, Benedetto XVI, ha denunciato come malattia del nostro tempo e della nostra cultura contemporanea.Ma che cos’è la verità? Cosa significa questa parola? In greco la parola verità si dice aleteia, parola che letteralmente significa svelamento, dischiudimento, rivelazione. Questo senso del termine verità è stato vissuto bene da Edith Stein, meglio conosciuta come S. Teresa Benedetta della Croce, nata a Breslavia (capitale della Slesia prussiana) il 12 ottobre del 1891 e morta in una camera a Gas nel campo di concentramento di Auschwitz il 09 agosto del 1942. Nelle sue memorie autobiografiche la Stein, con uno sguardo retrospettivo sulla propria vicenda umana, scrive: «Per tanto tempo la mia unica preghiera è stata la mia ricerca della verità»; e di fatto tutta la sua vicenda esistenziale è stata caratterizzata da questa sete di verità, da questo anelito alla verità. Riporto molto brevemente quelle che sono state le tappe di questo cammino di ricerca della verità da parte della Stein.Edith Stein nasce in una famiglia ebrea dove la fede era vissuta con intensità. Emerge in questa prima fase della sua vita soprattutto la figura della madre, Auguste Courant, ebrea ortodossa che si preoccupò oltre che di trasmettere ai figli (ben undici) il senso del lavoro e del sacrificio, anche la fede del Dio d’Israele e l’avversione verso il peccato. Le principali biografie della Stein ci dicono che la madre era: esemplare nell’osservanza di tutti i riti della religione, ella vegliava severamente sui figli affinché seguissero il suo esempio: le preghiere venivano recitate in ebraico, e tutte le cerimonie prescritte dal Talmud erano fedelmente osservate. […] I figli, tanto i più piccoli quanto i più grandi, conoscevano bene l’orrore che la madre nutriva per tutto ciò che si chiama peccato (Cfr. E. Costantini, Edith Stein.
Profilo di una vita vissuta alla ricerca della verità, LEV 1987, p. 14)Ben presto, però Edith si allontana dalla fede ricevuta mediante l’educazione familiare. Sotto l’influenza della scuola d’ispirazione laica che frequentò negli anni del liceo, la sua fede nei valori culturali e religiosi ebraici entrò in crisi e come lei stessa confessò più tardi dai tredici fino ai ventunanni non riuscì più a credere nell’esistenza di un Dio personale. La ricerca della verità, però, non si spegne in lei. Una svolta nella vita della Stein cominciò quando decise, dopo aver frequentato un anno di Università a Breslavia, di trasferirsi a Gottinga per seguire le lezioni del padre della fenomenologia contemporanea, Edmund Husserl. Husserl aveva dato inizio ad una corrente di pensiero il cui motto era sintetizzato nella breve espressione tedesca «Zu sachen der Selbst» (Torniamo alle cose stesse!). Contro l’astrattezza dell’idealismo tedesco e il materialismo del positivismo moderno, Husserl esortava a rivolgersi verso la realtà per indagarla e coglierne l’essenza. Spesso il filosofo di Gottinga insegnava ai suoi alunni a non avere pregiudizi nell’indagine della realtà, anzi, la fenomenologia, che più che essere un sistema filosofico preconfezionato e un metodo di ricerca, proponeva come atteggiamento fondamentale per indagare i fenomeni l’epoché, ossia, il mettere tra parentesi tutto ciò che si conosce di un determinato fenomeno per poterlo analizzare con la maggiore obiettività possibile. Il fenomenologo è colui che si mette in ascolto dei fenomeni, che lascia che essi si manifestino alla sua coscienza, per poi poterne cogliere l’essenza. La Stein fece sua questa lezione e ciò le fu di grande aiuto nel cammino di ricerca della verità, in quanto ella non escludeva più nessun fenomeno (inclusi quelli religiosi) dal raggio delle sue indagini.Un incontro che determinò ulteriormente il cammino della Stein nella ricerca della verità, fu quello con Max Scheler, filosofo ebreo convertitosi al cattolicesimo. Scheler spesso veniva invitato a parlare al circolo fenomenologico di cui la Stein era entrata a far parte dopo il suo trasferimento a Gottinga. Ella subì il fascino dell’eloquenza di Scheler, non aveva, infatti, mai incontrato una persona che sapesse propagandare le verità del cattolicesimo con profondo sentire e chiarezza concettuale. Tutto ciò dischiuse al suo sguardo limpido un mondo che fino ad allora era rimasto per lei del tutto sconosciuto. Non la condusse alla fede, ma risvegliò in lei il senso religioso della vita, inducendola a riflettere sul valore spirituale della persona umana. Bisogna precisare ancora che il primo incontro con il cristianesimo, Edith non lo ebbe in occasione delle conferenze di Scheler, ma quando ella si dedicò allo studio del Padre nostro, durante un corso di etimologia germanica, studio che colpì, in maniera incisiva, il suo spirito. Le parole di Gesù nel Padre nostro la toccarono profondamente ed ella stessa, nelle sue memorie autobiografiche, dichiara che mai dimenticò l’impressione che quell parole produssero in lei.Due eventi però hanno segnato definitivamente il cammino di ricerca della verità della Stein: l’incontro con l’amica Anne Reinach, dopo la morte del marito di quest’ultima nella prima guerra mondiale e la lettura della vita di S. Teresa D’Avila, trovata nella biblioteca della casa di un’altra amica e collega universitaria, Edwige Conrad – Martius.
Il primo evento si verificò nel 1917 morì in guerra Adolf Reinach, il «giovane docente universitario che fungeva da anello di congiunzione tra Edmund Husserl e i suoi allievi» e che aveva accolto, tra gli altri, anche la Stein, con cordialità e disponibilità. Dopo la morte di quest’ultimo, Edith «incaricata di riordinare il materiale scientifico lasciato dal collega, non aveva il coraggio di incontrarne la vedova, Anne». Sapeva che i due coniugi si amavano molto e si aspettava di trovare la giovani vedova in preda ad una sofferenza opprimente e inconsolabile. Niente di tutto ciò. Le parti si invertirono: Edith ricevette dall’amica una consolazione del tutto inaspettata. Rimase molto colpita nel constatare in Anne Reinach, un dolore pacato, colmo di speranza. Ben presto, dalle confidenze di lei, scoprì la causa di quell’atteggiamento sereno e dolce. Da poco Anne e Adolf, di origini ebraiche, avevano ricevuto il battesimo ed erano entrati nella chiesa protestante. Desideravano ardentemente far parte della chiesa cattolica; ma, considerando la situazione dell’imminente partenza del marito in guerra, non potevano attendere oltre e per il momento si fermarono lì. Anne narrava l’accaduto ed Edith Ascoltava attentamente e osservava insistentemente. Le parole scendevano una ad una per imprimersi nel suo intimo. E lei le raccoglieva tutte, come semi fecondi. L’incontro con l’amica fu per Edith decisivo; ne uscì con l’animo assetato di Dio: sete ancora inconfessata. (W. Erbstrith, Edith Stein. Vita e testimonianze, Roma, Città Nuova, 1998, 26)Confesserà più tardi che l’avvenimento in casa di Anne Reinach: «fu il mio primo incontro con la croce e con la forza divina che essa comunica a chi la porta. Fu il momento in cui risplendette la luce di Cristo, Cristo nel mistero della croce». (E. Stein, memorie autobiografiche, p. 89).Il secondo evento, invece, avvenne in una notte del 1921. Mentre era ospite in casa di un’amica e collega universitaria, Hedwig Conrad Martius, la Stein trovò nella biblioteca della Martius, la vita di Santa Teresa D’Avila. Preso il libro dice la Stein: «ne cominciai la lettura e ne rimasi talmente presa che non l’interruppi finché non fui arrivata alla fine del libro. Quando lo chiusi dovetti confessare a me stessa: “Questa è la verità”». (C. De Meester, Edith Stein. Sete della Verità, Paoline 2014, p. 37). Edith aveva trovato finalmente quella verità a lungo cercata, una verità che va al di là di quella filosofica, perché è una verità viva e personale: è l’incontro con Dio. Una Verità da cui si lascerà prendere per mano e guidare, abbracciandola anche quando diventerà Verità crocifissa, che chiede di stendersi con essa sul legno croce. La vicenda della Stein, infatti, si concluderà – dopo essere divenuta suora carmelitana e aver vissuto prima nel Carmelo di Colonia in Germania e poi in quello Olandese di Echt – con la sua deportazione presso il campo di concentramento di Auschwitz e la sua morte il 09 agosto 1942 in una camera a gas.
Cari lettori e lettrici di Cronaca e Legalità News, ho voluto riportarvi questa settimana in modo molto sintetico l’itinerario di ricerca di una grande donna e filosofa che ha segnato il secolo scorso con la sua testimonianza. Ella è per ciascuno di noi un esempio di come la verità sia un qualcosa che è al di là di ciascuno di noi e come ognuno debba mettersi in cammino per cercarla, scoprirla, pena il vivere una vita insignificante e vuota. Soprattutto ella ci mostra come questa verità non sia semplicemente un concetto, ma come si identifichi con una persona viva e vera: Dio. Auguro a ciascuno di voi di essere cercatore/cercatrice della verità e di poterla incontrare nella propria quotidianità, nella consapevolezza che è l’incontro con la verità che dona felicità e pienezza alla nostra vita.