La grande Teresa d’Avila. Vergine e Dottore della Chiesa. Il ricordo.
“Se in mezzo alle avversità il cuore persevera con serenità, gioia e pace, questo è l’amore.” Scriveva Santa Teresa di Gesù meglio conosciuta come Santa Teresa d’Avila. La vita di Teresa d’Avila (1515-1582)si può dividere in tre periodi: Il primo periodo è quello che precede il suo ingresso in monastero. Dopo un’adolescenza ricca di promesse, ma spiritualmente mediocre, Teresa capì di aver trascorso un lungo lasso di tempo in frivolezze, dietro gli ideali cavallereschi di allora, che avevano entusiasmato, prima di lei, anche un altro spagnolo, Iñigo de Loyola. (Ignazio).All’età di diciotto anni cominciò a riflettere sulla sua vocazione, comprendendo di essere ormai giunta a un bivio e di dover scegliere o la vita matrimoniale o la vita claustrale. Opta per la perfezione religiosa. Il secondo periodo ha inizio con il suo ingresso nel monastero Carmelitano dell’Incarnazione. Dopo la lettura delle “Lettere di S. Girolamo“, Teresa, nel 1536, all’età di ventuno anni, decide di farsi monaca. In convento comincia ad essere favorita di alcune elevate grazie d’orazione, ma la tiepidezza spirituale dell’ambiente religioso, la debilitazione fisica e alcune malattie le provocarono, per circa vent’anni, una assoluta aridità, distrazioni, pene e combattimenti spirituali. Solo nel 1554 sperimenta la cosiddetta sua “seconda conversione” e riprende a sentire la “presencia de Dios”. Aveva quarant’anni. Il Signore comincia ad accordarle numerosissime grazie d’orazione, che la accompagneranno per tutta la vita: grazie d’unione, epifenomeni mistici, fenomeni corporei miracolosi, rapimenti, fino al “matrimonio spirituale”. Nel terzo ed ultimo periodo della vita la Santa attua la riforma carmelitana femminile, costituendo, nel 1562, la prima comunità di Carmelitane “Scalze” e avviando nel 1568 quella maschile, insieme al più prezioso dei collaboratori: San Giovanni della Croce.Dopo pochi anni dalla separazione dall’antico tronco delle “Calzate” la riforma di Teresa contava numerosi monasteri, centinaia di monache e altrettante fondazioni maschili con un numero addirittura superiore di frati.
Il legame con San Giuseppe fu fortissimo,tanto da dedicargli il primo monastero ad Avila, diceva la mistica Teresa: “Non vi è grazia che si chieda a San Giuseppe che non possa essere esaudita vi invito a provare”. Teresa percorre le regioni e le strade della Spagna in lungo e in largo; richiesta in ogni sorta di situazioni: matrimoni, vendite, acquisti, litigi,… In mezzo a calunnie, derisioni, equivoci, amarezze, dà compimento a quella riforma che sarà definita “teresiana”.
Il suo cammino spirituale è ormai una corsa vittoriosa, che termina nel 1582, il 4 ottobre, giorno della sua nascita al cielo (il giorno successivo, per la riforma del calendario operata da Gregorio XIII divienta il 15 ottobre, giorno in cui si celebra, liturgicamente, la memoria della Santa). Teresa muore nel convento di Alba de Tormes, all’età di 67 anni, dopo una attività irresistibile seguita all’”unione trasformante”, al “matrimonio spirituale”, grado supremo della contemplazione, che unisce e assimila talmente la sposa allo Sposo, a Cristo, da farne una “corredentrice”, una creatura capace di operare con il Creatore per la trasfigurazione del mondo, distribuendo, come precisa opportunamente Ruusbroec (mistico), i tesori e la gloria di Dio.
Nel Carmelo concepì e attuò la riforma che prese il suo nome. Unì alla più alta contemplazione un’intensa attività come riformatrice dell’Ordine carmelitano. Dopo il monastero di San Giuseppe in Avila, con l’autorizzazione del generale dell’Ordine si dedicò ad altre fondazioni e poté estendere la riforma anche al ramo maschile.
Fedele alla Chiesa, nello spirito del Concilio di Trento, contribuì al rinnovamento dell’intera comunità ecclesiale. Morì a Alba de Tormes (Salamanca) nel 1582. Beatificata nel 1614, venne canonizzata nel 1622. Paolo VI, nel 1970, la proclamò Dottore della Chiesa. Memoria di santa Teresa di Gesù, vergine e dottore della Chiesa: entrata ad Ávila in Spagna nell’Ordine Carmelitano e divenuta madre e maestra di una assai stretta osservanza, dispose nel suo cuore un percorso di perfezionamento spirituale sotto l’aspetto di una ascesa per gradi dell’anima a Dio. Teresa è tra le massime figure della mistica cattolica di tutti i tempi. Le sue opere – specialmente le 4 più note (Vita, Cammino di perfezione, Mansioni e Fondazioni) – insieme a notizie di ordine storico, contengono una dottrina che abbraccia tutta la vita dell’anima, dai primi passi sino all’intimità con Dio al centro del Castello Interiore. L’ Epistolario, poi, ce la mostra alle prese con i problemi più svariati di ogni giorno e di ogni circostanza. La sua dottrina sull’unione dell’anima con Dio (dottrina da lei intimamente vissuta) è sulla linea di quella del Carmelo che l’ha preceduta e che lei stessa ha contribuito in modo notevole ad arricchire, e che ha trasmesso non solo ai confratelli, figli e figlie spirituali, ma a tutta la Chiesa, per il cui servizio non badò a fatiche. Morendo la sua gioia fu poter affermare: “muoio figlia della Chiesa”. Scrisse molte poesie d’amore al Signore ne riportiamo il testo di una, tradotto dallo spagnolo per evidenziare l’amore che la univa a Cristo, fino a vivere il matrimonio mistico con l’Amato. Il matrimonio spirituale , oltre ad essere coscienza viva di essere uniti all’Amato, è perfetta identificazione con Lui. E’… “unione senza differenze” afferma Jan Ruusbroec. Ecco il testo della poesia in cui la grande Teresa esprime a Dio il desiderio di lasciare “questo esilio” per vivere pienamente la sua gioia di innamorata in Dio:
Vivo ma in me non vivo e fino a tal punto spero che muoio perché muoio. Vivo ormai fuori di me dopo esser morta d’amore, perché vivo nel Signore, che mi ha voluta per sé: quando gli ho dato il mio cuore vi ha scritto queste parole: Che muoio perché non muoio. Questa divina prigione, dell’amore con cui io vivo, Dio ha reso mio prigioniero e ha liberato il mio cuore; e mi dà tanta passione veder Dio mio prigioniero che muoio perché non muoio. Com’è lunga questa vita! Com’è duro questo esilio! Il carcere e questi ceppi in cui l’anima si trova! Solo aspettarne l’uscita mi causa un tale dolore, che muoio perché non muoio. Ah, che vita così amara se non si gode il Signore! Perché se è dolce l’amore, non lo è la lunga speranza; toglimi Dio questo peso, più pesante dell’acciaio, che muoio perché non muoio. Vivo con la sicurezza che un giorno dovrò morire, perché il vivere, morendo, mi assicura la speranza; morte in cui vita s’ottiene, non tardare, che ti aspetto, che muoio perché non muoio. Guarda che l’amore è forte; vita, non mi molestare, guarda che solo mi resta perderti per guadagnarti. Venga ormai la dolce morte, venga il morir senza indugio che muoio perché non muoio. Quella vita di lassù che è la sola vera vita, fino a che questa non muore, non si gode essendo viva: morte, non essermi schiva; che io viva morendo prima, che muoio perché non muoio. Vita, che altro posso dare al mio Dio che vive in me, se non il perdere te per poterti guadagnare? Voglio morendo raggiungerti, ché bramo tanto il mio Amato, che muoio perché non muoio.