Beato Carlo Gnocchi, sacerdote: il Beato del giorno
“Tu solo, per sempre” è l’immutabile parola di quelli che si amano. L’amore che si limita, l’amore episodico, non è amore, è passione. Diceva il Beato Carlo Gnocchi che fu espressione di questo amore fedele a Dio fino alla fine. Il Beato Carlo Gnocchi nacque a San Colombano al Lambro, in provincia di Milano ma molto vicino a Lodi, il 25 ottobre 1902. Il padre, Enrico, era un marmista, mentre la madre, Clementina Pasta, lavorava come sarta e si occupava della casa. Fu battezzato cinque giorni dopo la nascita coi nomi di Carlo Fortunato Domenico nella chiesa parrocchiale del suo paese. Alla morte del padre, ammalato di silicosi per via del suo lavoro, Carlo si trasferì con la famiglia a Milano, dove ricevette il sacramento della Cresima presso la parrocchia di Sant’Eufemia il 19 maggio 1910. Nell’anno scolastico 1914-1915 fu allievo dei Salesiani.Avvertita la vocazione al sacerdozio, nel 1915, anno in cui perse il fratello Andrea (un altro fratello, Mario, era invece morto nel 1909) entrò nel Seminario della diocesi di Milano, nella sede di Seveso. Tre anni dopo passò alla sede di Monza per frequentare il liceo, ma per ottenere il diploma di maturità dovette sostenere l’esame nel liceo statale Berchet di Milano. Nel 1921, quindi, passò al Seminario maggiore nella sede di corso Venezia a Milano.Venne ordinato sacerdote il 6 giugno 1925 dall’arcivescovo di Milano, il cardinal Eugenio Tosi. Celebrò la Prima Messa lo stesso giorno a Montesiro di Besana Brianza, il paese dove trascorreva le vacanze ospite di una zia e dove la madre si era trasferita quando lui era entrato in Seminario.Il primo incarico di don Carlo fu quello di vicario parrocchiale incaricato dell’oratorio (o coadiutore) della parrocchia di Santa Maria Assunta a Cernusco sul Naviglio, ma già l’anno successivo ebbe una nuova destinazione: San Pietro in Sala, a Milano. Nel 1928 don Carlo fu nominato dal cardinal Tosi cappellano dell’Opera Nazionale Balilla. Il successore, il cardinal Alfredo Ildefonso Schuster (Beato dal 1994), gli diede cinque anni dopo l’incarico di assistente spirituale del GUF (Gruppo Universitari Fascisti) di Milano.Fu sempre il cardinal Schuster a chiamarlo ad assumere il ruolo di direttore spirituale dell’Istituto Gonzaga di Milano, diretto dai Fratelli delle Scuole Cristiane. Lì ebbe l’opportunità di conoscere meglio l’uomo inquadrato nella società, i giovani, ma anche le loro famiglie e l’ambiente, affinando così la sua passione e la sua sensibilità come educatore.Il 10 giugno 1940 l’Italia entrò ufficialmente nel secondo conflitto mondiale. Don Carlo si arruolò volontariamente come cappellano militare del Battaglione degli Alpini «Val Tagliamento», che partecipò alla campagna di Grecia. Dopo il congedo, riprese il suo impegno al Gonzaga, ma sentiva di dover andare dove ci fosse più bisogno di lui: scrisse quindi più volte al cardinale Schuster perché acconsentisse alla sua partenza per il fronte russo. Infine, nel mese di luglio 1942, poté partire per la campagna di Russia, come cappellano degli Alpini della Divisione Tridentina.
La disastrosa ritirata del gennaio 1943, che vide la morte di numerosi soldati, lo colpì profondamente, spingendolo a riflettere sul significato e sul valore della sofferenza degli innocenti. Maturò il lui il desiderio di provvedere all’assistenza degli orfani dei suoi alpini: così, tornato in patria, cominciò a cercarli personalmente.Decorato con medaglia d’argento al valor militare, negli anni 1944-45 partecipò alla Resistenza. Incarcerato a San Vittore, fu liberato dieci giorni dopo per l’intervento del cardinale Schuster.Nel 1945 lasciò l’incarico di direttore spirituale all’Istituto Gonzaga, prendendo quello di assistente ecclesiastico degli studenti dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, restandovi tre anni.Mentre l’arcivescovo pensava di destinarlo a una parrocchia, don Carlo andava concretizzando quello che, dal fronte russo, aveva scritto al cugino Mario Biassoni: «Sogno dopo la guerra di potermi dedicare per sempre ad un’opera di Carità, quale che sia, o meglio quale Dio me la vorrà indicare. Desidero e prego dal Signore una sola cosa: servire per tutta la vita i Suoi poveri. Ecco la mia “carriera”».Nell’aprile 1945 don Carlo venne nominato direttore dell’Istituto Grandi Invalidi di Arosio (in provincia di Como). L’8 dicembre dello stesso anno aveva appena terminato la celebrazione della Messa, quando il portinaio gli annunciò che gli era stato portato un bambino, Bruno Castoldi, il cui padre era morto in Russia. A lui si aggiunsero, nel corso della giornata, altri ventisette orfani. L’arrivo di un bambino di otto anni, Paolo Balducci, che aveva invece perso una gamba per lo scoppio di una bomba, lo orientò definitivamente verso l’accoglienza di quei piccoli sofferenti.Per coordinare meglio l’attività dell’istituto di Arosio verso i cosiddetti mutilatini, don Carlo istituì la «Federazione Pro Infanzia Mutilata», che il 26 marzo 1949 fu ufficialmente riconosciuta con Decreto del Presidente della Repubblica. Nel 1951 l’istituzione cambiò denominazione in «Fondazione Pro Juventute» e, due anni dopo, riconosciuta come Ente Morale.
Don Carlo si fece propagandista itinerante in Italia e all’estero per le sue istituzioni, che ormai si erano ramificate, aumentando con ritmo veloce, in Lombardia e in altre regioni italiane. Fu anche scrittore fecondo di spiritualità, educazione, pedagogia.Ai primi di novembre 1955, mentre visitava il Centro Pilota di Roma, don Carlo si sentì male. Sulle prime i medici pensarono che fosse un esaurimento, ma quando fu ricoverato alla clinica Columbus di Milano emerse la verità: aveva un tumore allo stomaco, con metastasi diffuse ai polmoni. Una domenica di febbraio mandò a chiamare il professor Cesare Galeazzi, direttore dell’ospedale Oftalmico di Milano, per chiedergli quello che definì «un grande favore»: dopo la sua morte, le sue cornee dovevano essere espiantate, per ridare la luce degli occhi a uno dei suoi ragazzi. Non molti giorni dopo morì, nel pomeriggio del 28 febbraio 1956, a 53 anni.L’operazione di espianto ebbe successo e destò molto clamore: si era agli albori della cultura dei trapianti d’organi, che in Italia non erano ancora disciplinati per legge. I beneficati furono Silvio Colagrande e Amabile Battistello, l’uno rimasto privo della vista a causa di un incidente, l’altra cieca dalla nascita.I funerali furono celebrati nel Duomo di Milano il 1° marzo 1956 dall’arcivescovo Giovanni Battista Montini, poi papa Paolo VI e Beato, con un’imponente partecipazione di popolo. Durante i funerali, un mutilatino, Domenico Antonino, fu portato al microfono e disse: «Prima ti dicevo: ciao don Carlo. Adesso ti dico: ciao, san Carlo». Era solo la prima attestazione pubblica di una buona fama che, col passare degli anni, non venne meno.Il nulla osta per l’avvio della causa di beatificazione di don Carlo Gnocchi è giunto il 5 gennaio 1987: già il 6 maggio del medesimo anno fu aperta, a Milano, la fase diocesana del processo, conclusa il 23 febbraio 1991 e convalidata il 29 ottobre 1993. La “positio super virtutibus” è stata trasmessa a Roma nel 1997.Fu ottenuto parere positivo circa l’esercizio delle virtù eroiche sia dai consultori teologi, il 22 ottobre 2002, sia dai cardinali e vescovi membri della Congregazione vaticana per le Cause dei Santi, il 3 dicembre dello stesso anno. San Giovanni Paolo II autorizzò quindi, il 20 dicembre 2002, la promulgazione del decreto con cui don Carlo Gnocchi era dichiarato VenerabileCome presunto miracolo per ottenere la beatificazione fu preso in esame il caso di Sperandio Aldeni, artigiano elettricista e alpino bergamasco. Il 17 agosto 1979 era sopravvissuto a una scarica elettrica altrimenti mortale, invocando proprio don Carlo Gnocchi. Il processo sull’asserito miracolo venne quindi aperto il 22 ottobre 2004 e concluso quasi tre mesi dopo, il 19 novembre; fu convalidato il 6 maggio 2005.La giunta medica della Congregazione per le Cause dei Santi diede parere favorevole circa l’inspiegabilità dell’evento il 5 luglio 2007. L’opinione fu confermata dai consultori teologi il 4 novembre 2008 e dai cardinali e vescovi della Congregazione il 13 gennaio 2009. Infine, il 17 gennaio 2009, papa Benedetto XVI ha autorizzato la promulgazione del decreto con cui l’evento prodigioso era da attribuirsi all’intercessione del Venerabile Carlo Gnocchi, aprendo quindi la strada alla sua beatificazione.Il 25 ottobre 2009, nella stessa piazza Duomo che aveva visto i suoi funerali, don Carlo Gnocchi veniva ufficialmente posto alla venerazione dei fedeli. Il rito di beatificazione è stato presieduto da monsignor Angelo Amato (oggi cardinale) come inviato del Santo Padre, all’interno della celebrazione eucaristica presieduta dal cardinal Dionigi Tettamanzi, arcivescovo di Milano.La memoria liturgica del Beato Carlo Gnocchi, per la diocesi di Milano, è stata fissata al 25 ottobre, giorno del suo compleanno e anniversario della beatificazione.Nella primavera del 2009, poche settimane dopo l’annuncio della beatificazione, la Fondazione, che nel frattempo aveva preso il nome di Fondazione Don Carlo Gnocchi onlus, ha avviato la costruzione di una nuova chiesa a lui dedicata, adiacente al Centro Santa Maria Nascente. La cerimonia della posa della prima pietra si è svolta il 2 marzo 2009 alla presenza del cardinal Tettamanzi, che ha pure consacrato la chiesa il 24 ottobre 2010. Il 27 novembre dello stesso anno l’urna con i resti del Beato, già portati in piazza Duomo nel corso del solenne rito di beatificazione, sono stati definitivamente traslati ai piedi dell’altare della nuova chiesa.
Il 28 febbraio 2012, nel cinquantaseiesimo anniversario della morte, il cardinal Angelo Scola, arcivescovo di Milano, ha ufficialmente eretto la chiesa del Beato Carlo Gnocchi come santuario diocesano, dove è anche stata aperta una delle porte del Giubileo straordinario della Misericordia. Accanto al santuario, nell’area della vecchia cappella del Centro, è stato allestito un museo per approfondire la vita e l’opera del suo fondatore.La Fondazione, istituita dal Beato Carlo Gnocchi per mutilatini e poliomielitici, ha ampliato nel tempo il suo raggio d’azione, curando non solo bambini e ragazzi disabili o affetti da malattie congenite e acquisite, ma anche pazienti di ogni età che necessitano di riabilitazione neuromotoria, cardiorespiratoria e pneumologica, anziani non autosufficienti, malati oncologici terminali, pazienti con gravi cerebrolesioni o in stato vegetativo prolungato.