San Daniele: il Santo del giorno
Daniele, ultimo dei quattro profeti maggiori, giudeo, nato a Gerusalemme da famiglia nobile, fu deportato a Babilonia da Nabucodonosor, insieme con altri giovani, nell’anno terzo o quarto del regno di Ioakin, re di Giuda, cioè il 606-605 a.C. A Babilonia fu scelto con altri tre giovani nobili giudei per essere ammesso alla corte del re. Ammesso alla corte, dopo che ebbe dato saggi della sua rettitudine, fu fatto principe di Babilonia e prefetto su tutti i sapienti del regno. Sottrasse alla morte Susanna, a cui era stata ingiustamente condannata, e la sentenza si ritorse contro i due giudici disonesti dopo che essi erano stati convinti pubblicamente da Daniele della loro falsa testimonianza contro l’innocente.Nell’anno dodicesimo di Nabucodonosor si affermò quale oracolo di Dio, favorito dalla scienza dei segreti, superiore di gran lunga a quella di tutti i magi, indovini, saggi e caldei di Babilonia. Egli non fu coinvolto nell’accusa dei babilonesi contro i suoi tre compagni, Anania, Misaele e Azaria, per non aver voluto adorare la statua del re, ma la pena della fornace ardente, loro inflitta, dovette affliggerlo grandemente, vedendo che quello stesso ufficio onorifico di prefetto della provincia di Babilonia, concesso loro dal re per sua mediazione, era stato occasione di disgrazia: tuttavia l’esito felice di quella prova mutò la tristezza in gaudio e poiché i suoi compagni, scampati al fuoco, riebbero le loro cariche e il Dio di Israele fu riconosciuto come l’unico Dio vero, capace di salvare coloro che credono in lui.
Pochi anni dopo Daniele interpretò un sogno di Nabucodonosor, quello del grande albero rigoglioso, abbattuto e reciso, che risorse dalle sue radici. Daniele spiegò al re il senso di quel sogno: l’albero è simbolo del sovrano, che per la sua superbia sarà privato della gloria e ridotto allo stato di una bestia fino a che non riconoscerà che l’Altissimo detiene il dominio sul regno degli uomini. Per mitigare questo annunzio, Daniele consiglia al re di procacciarsi la divina clemenza con opere buone e con la pietà verso i poveri.Nuova prova dello spirito di sapienza la diede Daniele nello svelare il senso delle enigmatiche parole Mane’ Thecel, Phares nella cena di gala con tutti i principi e dignitari di corte, con le mogli e concubine, un affronto alla religione dei giudei, in quanto si faceva uso dei vasi sacri del tempio di Gerusalemme. L’orgia si arrestò alla vista della mano misteriosa che scriveva sul muro segni ignoti. I sapienti non furono capaci di decifrare la scrittura. Allora, su consiglio della regina, fu introdotto Daniele, che dopo aver rifiutato onori e regali che il re gli prometteva, lesse e interpretò le fatidiche parole, che contenevano la sentenza di Dio sulla fine di Baltassar e del suo impero, sentenza che si compì quella stessa notte, subentrando l’impero persiano a quello babilonese.Daniele colpì il re grazie alla sua intelligenza e rettitudine, tanto che fu nominato principe di Babilonia e prefetto su tutti i sapienti del regno. Alla corte babilonese Daniele si distinse come oracolo potente e giudice giusto, durante la sua vita ebbe numerose e sconvolgenti visioni e operò segni grandiosi nel nome del Dio dei giudei, che grazie a lui venne riconosciuto con regio decreto come l’unico Dio vero, capace di salvare coloro che credono in lui.
Le visioni profetiche, sia quelle coi tratti apocalittici di bestie simboliche, raffiguranti i diversi regni della terra fino all’avvento del Regno di Dio (cap. 7-8), il cui tempo è approssimativamente indicato (cap. 9), sia quelle che, senza simboli, parlano direttamente degli stessi regni e dei loro re, senza però nominarli (cap. 10-11), e quella ultima che annunzia la fine dei tempi (cap. 12), sono tutte messe in bocca a Daniele che parla in prima persona e riceve da un angelo (Gabriele) la spiegazione delle visioni avute.Per muovere Dio a clemenza, Daniele affligge se stesso col digiuno. indossa gli abiti di penitenza e confessa i peccáti suoi e quelli del popolo, riconoscendo la giustizia di Dio in tutto quel che si patisce. Implora misericordia, pregando Dio di affrettare il suo aiuto, per amore del suo santuario, che da tanto tempo è desolato, e per riguardo a se stesso, fedele alle sue promesse. In risposta alla sua accorata preghiera, Dio gli manda l’angelo Gabriele con un messaggio di consolazione. Daniele, sopravvissuto al crollo dell’impero neo-babilonese (539-38), vide ancora i primi anni del nuovo impero persiano: la sua ultima visione è datata dall’anno terzo di Cliro (536), quando egli, nato verso il 620, era già più che ottantenne. I Greci, presso i quali la festa è al 17 dicembre, lo ricordano insieme con altri santi dell’Antico Testamento la domenica precedente al Natale.