San Leopoldo Mandic: il ricordo della Chiesa

San Leopoldo Mandic nacque a Castelnovo di Cattaro (Montenegro) il 12 maggio 1866 e morì a Padova il 30 luglio 1942. Passò quasi tutta la vita in confessionale con il più eroico sacrificio. La sua parola era sorgente di perdono, di luce, di conforto. Si offrì a Dio vittima per il ritorno dei fratelli orientali all’unità della Chiesa. Alto un metro e quaranta, artrite alle mani, difficoltà nel parlare, occhi arrossati: davvero un poveretto da compatire. Ma il medico Enrico Rubartelli, suo amico, lo vede come un capo, “assediato, seguito e invocato da folle di tutti i ceti” a Padova. A più di 70 anni dalla morte, altri lo invocano nel suo santuario padovano presso la tomba. E gli scrivono, come a un vivo: i loro messaggi riempiono ormai centinaia di migliaia di pagine.È nato alle Bocche di Cattaro, terra dalmata sotto gli Asburgo. Battezzato col nome di Bogdan, entra sedicenne nel seminario cappuccino di Udine, poi è novizio a Bassano diventando fra Leopoldo, pronuncia i voti e nel 1890 è sacerdote, con un sogno preciso: spendere la vita per riconciliare con Roma i cristiani orientali separati.Il più piccolo frate dell’intero Ordine cappuccino camminava tra i primissimi sul sentiero dell’ecumenismo. Voleva andare in Oriente, e per due volte credette di fare il primo passo, quando lo mandarono a Zara e a Capodistria. Ma nella guerra del 1915-18, essendo croato (ossia “suddito nemico”), dovrà risiedere nel Meridione d’Italia. Confessore a Padova, comincerà presto a essere “assediato”, ma nel 1923 lo destinarono a Fiume, come confessore dei cattolici slavi.

E la missione in Oriente sembrava farsi realtà. Ma intervenne il vescovo di Padova, il grande Elia Dalla Costa, e disse ai Cappuccini: “La partenza di padre Leopoldo ha destato in tutta la città un senso di amarezza e di vero sconcerto”. Insomma, i padovani non vollero lasciarlo andare. E riuscirono a recuperare il piccolo confessore, che passava giorni e anni in una celletta ascoltando ogni fallimento e riaccendendo ogni speranza. E anche lui capì: “Il mio Oriente è qui, è Padova”.Il gigante della confessione. E anche il martire, perché vi bruciava tutte le sue energie, ricco di compassione per tanta gente che impara da lui a conoscersi e a riprendere fiducia. Lui però non era un tipo bonario per naturale tranquillità. Al contrario, era bellicoso e capace d’infiammarsi in scatti aspri e inattesi, come il suo compatriota san Gerolamo. E, come lui, infatti, chiede al Signore il dono della calma: “Abbi pietà di me che sono dàlmata!”. Quando nel 1942 lo portarono in ospedale trovò modo di confessare anche lì.

Gli riscontrarono però un tumore all’esofago. Tornò allora in convento e morì il 30 luglio 1942, dopo aver tentato ancora di vestirsi per la Messa. E via via, come ha detto Paolo VI beatificandolo nel 1976, “la vox populi sulle sue virtù, invece che placarsi col passare del tempo, si è fatta più insistente, più documentata e più sicura”. E Giovanni Paolo II, nel 1983, ha collocato padre Leopoldo tra i santi. Dopo la morte, la fama della sua santità si diffuse rapidamente in gran parte del mondo. Innumerevoli le grazie attribuite alla sua intercessione. Dopo soli 41 anni dalla morte, venne solennemente canonizzato appunto da Giovanni Paolo II il 16 ottobre 1983

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