San Luigi Gonzaga, religioso gesuita
Figlio del marchese Ferrante Gonzaga, nato il 9 marzo del 1568, fin dall’infanzia il padre lo educò alle armi, tanto che a 5 anni già indossava una mini corazza ed un elmo e rischiò di rimanere schiacciato sparando un colpo con un cannone. Ma a 10 anni Luigi aveva deciso che la sua strada era un’altra: quella che attraverso l’umiltà, il voto di castità e una vita dedicata al prossimo l’avrebbe condotto a Dio. A 12 anni ricevette la prima comunione da san Carlo Borromeo, venuto in visita a Brescia. Decise poi di entrare nella compagnia di Gesù e per riuscirci dovette sostenere due anni di lotte contro il padre. Libero ormai di seguire Cristo, rinunciò al titolo e all’eredità ed entrò nel Collegio romano dei gesuiti, dedicandosi agli umili e agli ammalati, distinguendosi soprattutto durante l’epidemia di peste che colpì Roma nel 1590. In quell’occasione, trasportando sulle spalle un moribondo, rimase contagiato e morì. Era il 1591, aveva solo 23 anni. Papa Benedetto XIII lo canonizzò il 31 dicembre 1726. E’ sepolto a Roma nella chiesa di Sant’Ignazio di Campo Marzio. Dunque nasce, nel 1568, praticamente con l’archibugio in mano e con il destino già segnato: ereditare, insieme al marchesato, il patrimonio di intrighi, violenze e sangue di cui un tempo ogni feudo era ricco. Primogenito del marchese di Castiglione delle Stiviere, in quel di Mantova, fin da bambino gli insegnano quello che un giorno dovrà fare. Così, a neppure cinque anni, già indossa una divisa militare e si diverte con archibugi e bombarde, precocissimo “bambino-soldato” che sta attendendo di diventare signore e padrone di un marchesato di per sé insignificante ma certamente strategico.Dei suoi sette fratelli, tre muoiono giovanissimi, uno viene ucciso a pugnalate ed un altro ad archibugiate, il sesto si macchierà di orrendi crimini, mentre l’ultimo sarò odiato a vita.
Invece lui, l’erede designato, a sette anni ha già fatto la sua scelta, non propriamente in linea con la tradizione di famiglia: merito di sua mamma, che ha sempre pregato perché uno dei suoi figli si facesse religioso e che, con delicatezza e discrezione, sta controbilanciando con i suoi insegnamenti e i suoi esempi l’educazione militaresca che papà gli sta impartendo. Inutile dire che questo figlio impara da lei: dimostra sempre maggior disinteresse per le cose di guerra, si stacca dalla vita mondana di corte, lo trovano sempre più spesso appartato a pregare. A dieci anni si consacra a Maria e che sia ben cosciente di questo gesto, nonostante la giovane età, lo dimostra la svolta che da quel giorno dà alla sua vita, sempre più orientata verso la preghiera, la penitenza, il distacco dalle cose del mondo. Comprensibile la preoccupazione di papà, che osserva questo cambiamento e comincia ad avere qualche dubbio su colui che dovrebbe essere il suo erede, dato che già a 16 anni comincia sempre più apertamente a parlare di rinunciare al marchesato per farsi religioso.Con il dichiarato scopo di “distrarlo” e con la speranza di “recuperarlo”, papà lo spedisce nelle corti di Madrid, Mantova, Parma, Ferrara, Pavia e Torino, ma il risultato non è quello che si attendeva. Anzi, sembra che il clima corrotto respirato abbia finito per stancare ancor di più il giovane, che l’anno dopo, davanti ad un padre singhiozzante e ad un notaio incredulo, rinuncia definitivamente ai diritti della primogenitura a favore del fratello e va a Roma con i Gesuiti. Ha già fatto da solo un buon cammino spirituale, ma adesso preghiera e penitenza mettono le ali al suo desiderio di perfezione. Si divide tra studio, preghiera e opere di carità fino a quando nella Città Eterna scoppia la peste. Che fa di lui non il martire della fede (anche se ne ha da vendere) ma della carità più squisita. Se la salute gracile non gli permette infatti di essere sempre in prima linea al fianco dei malati, non gli può certo impedire di caricarsi sulle spalle l’appestato scartato da tutti e abbandonato per strada. Contagiato anche lui, muore a 23 anni nel 1591, il 21 giugno, giorno in cui la Chiesa adesso lo festeggia dopo che Paolo V nel 1605 ha proclamato beato e Benedetto XIII nel 1726 ha proclamato santo Luigi Gonzaga, il giovane ricco che aveva abbandonato tutto per trovare solo in Dio la sua vera ricchezza.
Dalla lettera alla madre:
Io invoco su di te, mia Signora, il dono dello Spirito Santo e consolazioni senza fine. Quando mi hanno portato la tua lettera, mi trovavo ancora in questa regione di morti. Ma facciamoci animo e puntiamo le nostre aspirazioni verso il cielo dove loderemo Dio eterno nella terra dei viventi…La carità consiste, come dice San Paolo, nel “rallegrarsi con quelli che sono nella gioia e nel piangere con quelli che sono nel pianto”. Perciò, madre illustrissima, devi gioire grandemente perché per merito tuo, Dio mi indica la vera felicità e mi libera dal timore di perderlo.Ti confiderò, o illustrissima signora, che meditando le bontà divine, mare senza fondo e senza confini, la mia mente si smarrisce. Non riesco a capacitarmi come il Signore guardi alla mia piccola e breve fatica e mi premi con il riposo eterno e dal cielo mi inviti a quella felicità che io fino ad ora ho cercato con negligenza e offra a me, che assai poche lacrime ho sparso per esso, quel tesoro che è il coronamento di grandi fatiche e pianto.O illustrissima Signora, guardati dall’offendere l’infinita bontà divina, piangendo come morto chi vive al cospetto di Dio e che con la sua intercessione può venire incontro alle tue necessità molto più che in questa vita.La separazione non sarà lunga. Ci rivedremo in cielo e insieme uniti all’autore della nostra salvezza, godremo gioie immortali, lodandolo con tutta la capacità dell’anima e cantando senza fine le sue grazie. Egli ci toglie quello che prima ci aveva dato solo per riporlo in un luogo più sicuro ed inviolabile e per ornarci di quei beni che noi stessi sceglieremo. Ho detto queste cose solo per obbedire al mio ardente desiderio che tu, o illustrissima signora e tutta la famiglia, consideriate la mia partenza come un evento gioioso. E tu continua ad assistermi con la tua materna benedizione, mentre sono in mare verso il porto di tutte le mie speranze. Ho preferito scriverti perché niente mi è rimasto con cui manifestarti in modo più chiaro l’amore ed il rispetto che, come figlio, devo alla mia madre.