Celebrazione dei Secondi Vespri a conclusione della Settimana di preghiera per l’Unità dei Cristiani
Alle ore 17.30 di ieri pomeriggio, nella Basilica di San Paolo fuori le Mura, l’Em.mo Cardinale Kurt Koch, Presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani, ha presieduto la celebrazione dei Secondi Vespri della solennità della Conversione di San Paolo Apostolo, a conclusione della 54ma Settimana di preghiera per l’Unità dei Cristiani sul tema Rimanete nel mio amore: produrrete molto frutto (cfr. Gv 15, 5-9).Hanno preso parte alla celebrazione i Rappresentanti delle altre Chiese e Comunità ecclesiali presenti a Roma. Riportiamo di seguito l’omelia preparata dal Santo Padre Francesco per l’occasione, che è stata letta dal Card. Koch nel corso della celebrazione dei Vespri:
Testo in lingua italiana
Sono lieto di leggere l’Omelia che il Santo Padre ha preparato per noi. Noi rimaniamo uniti in preghiera con il Santo Padre.«Rimanete nel mio amore» (Gv 15,9). Gesù lega questa richiesta all’immagine della vite e dei tralci, l’ultima che ci offre nei Vangeli. Il Signore stesso è la vite, la vite «vera» (v. 1), che non tradisce le attese, ma resta fedele nell’amore e non viene mai meno, nonostante i nostri peccati e le nostre divisioni. In questa vite che è Lui, tutti noi battezzati siamo innestati come tralci: significa che possiamo crescere e portare frutto solo se uniti a Gesù. Stasera guardiamo a questa indispensabile unità, che ha più livelli. Pensando all’albero della vite, potremmo immaginare l’unità costituita da tre anelli concentrici, come quelli di un tronco.Il primo cerchio, quello più interno, è il rimanere in Gesù. Da qui parte il cammino di ciascuno verso l’unità. Nella realtà odierna, veloce e complessa, è facile perdere il filo, tirati da mille parti. Tanti si sentono frammentati dentro, incapaci di trovare un punto fermo, un assetto stabile nelle circostanze variabili della vita. Gesù ci indica il segreto della stabilità nel rimanere in Lui. Nel testo che abbiamo ascoltato ripete per ben sette volte questo concetto (cfr vv. 4-7.9-10). Egli, infatti, sa che “senza di Lui non possiamo fare nulla” (cfr v. 5). Ci ha mostrato anche come fare, dandoci l’esempio: ogni giorno si ritirava in luoghi deserti per pregare. Abbiamo bisogno della preghiera come dell’acqua per vivere. La preghiera personale, lo stare con Gesù, l’adorazione, è l’essenziale del rimanere in Lui. È la via per mettere nel cuore del Signore tutto quello che popola il nostro cuore, speranze e paure, gioie e dolori. Ma soprattutto, centrati in Gesù nella preghiera, sperimentiamo il suo amore. E la nostra esistenza ne trae vita, come il tralcio che prende la linfa dal tronco. Questa è la prima unità, la nostra integrità personale, opera della grazia che riceviamo rimanendo in Gesù.Il secondo cerchio è quello dell’unità con i cristiani. Siamo tralci della stessa vite, siamo vasi comunicanti: il bene e il male che ciascuno compie si riversa sugli altri. Nella vita spirituale vige poi una sorta di “legge della dinamica”: nella misura in cui rimaniamo in Dio ci avviciniamo agli altri e nella misura in cui ci avviciniamo agli altri rimaniamo in Dio. Vuol dire che se preghiamo Dio in spirito e verità scaturisce l’esigenza di amare gli altri e, dall’altra parte, che «se ci amiamo gli uni gli altri, Dio rimane in noi» (1 Gv 4,12). La preghiera non può che portare all’amore, altrimenti è fatuo ritualismo. Non è infatti possibile incontrare Gesù senza il suo Corpo, composto di molte membra, tante quanti sono i battezzati. Se la nostra adorazione è genuina, cresceremo nell’amore per tutti coloro che seguono Gesù, indipendentemente dalla comunione cristiana a cui appartengono, perché, anche se non sono “dei nostri”, sono suoi.Constatiamo tuttavia che amare i fratelli non è facile, perché appaiono subito i loro difetti e le loro mancanze, e ritornano alla mente le ferite del passato. Qui ci viene in aiuto l’azione del Padre che, come esperto agricoltore (cfr Gv 15,1), sa bene cosa fare: «Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo taglia, e ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto» (Gv 15,2). Il Padre taglia e pota. Perché? Perché per amare abbiamo bisogno di essere spogliati di quanto ci porta fuori strada e ci fa ricurvare su noi stessi, impedendoci di portare frutto. Chiediamo dunque al Padre di recidere da noi i pregiudizi sugli altri e gli attaccamenti mondani che impediscono l’unità piena con tutti i suoi figli. Così purificati nell’amore, sapremo mettere in secondo piano gli intralci terreni e gli ostacoli di un tempo, che oggi ci distraggono dal Vangelo.Il terzo cerchio dell’unità, il più ampio, è l’umanità intera. Possiamo riflettere, in questo ambito, sull’azione dello Spirito Santo. Nella vite che è Cristo Egli è la linfa che raggiunge tutte le parti. Ma lo Spirito soffia dove vuole e ovunque vuole ricondurre all’unità. Egli ci porta ad amare non solo chi ci vuole bene e la pensa come noi, ma tutti, come Gesù ci ha insegnato. Ci rende capaci di perdonare i nemici e i torti subiti. Ci spinge ad essere attivi e creativi nell’amore. Ci ricorda che il prossimo non è solo chi condivide i nostri valori e le nostre idee, ma che noi siamo chiamati a farci prossimi di tutti, buoni Samaritani di un’umanità vulnerabile, povera e sofferente – oggi tanto sofferente –, che giace per le strade del mondo e che Dio desidera risollevare con compassione. Lo Spirito Santo, autore della grazia, ci aiuti a vivere nella gratuità, ad amare anche chi non ci ricambia, perché è nell’amore puro e disinteressato che il Vangelo porta frutto. Dai frutti si riconosce l’albero: dall’amore gratuito si riconosce se apparteniamo alla vite di Gesù.Lo Spirito Santo ci insegna così la concretezza dell’amore verso tutti i fratelli e le sorelle con i quali condividiamo la stessa umanità, quell’umanità che Cristo ha unito a sé in modo inscindibile, dicendoci che lo troveremo sempre nei più poveri e bisognosi (cfr Mt 25,31-45). Servendoli insieme, ci riscopriremo fratelli e cresceremo nell’unità. Lo Spirito, che rinnova la faccia della terra, ci esorta anche a prenderci cura della casa comune, a fare scelte audaci sul modo in cui viviamo e consumiamo, perché il contrario del portare frutto è lo sfruttamento ed è indegno sprecare le preziose risorse di cui tanti sono privi.Lo stesso Spirito, artefice del cammino ecumenico, ci ha portati stasera a pregare insieme. E mentre facciamo esperienza dell’unità che nasce dal rivolgerci a Dio con una sola voce, desidero ringraziare tutti coloro che in questa Settimana hanno pregato e continueranno a pregare per l’unità dei cristiani. Rivolgo i miei fraterni saluti ai rappresentanti delle Chiese e Comunità ecclesiali qui convenuti: ai giovani ortodossi e ortodossi orientali che studiano a Roma con il sostegno del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani; ai professori e agli studenti dell’Ecumenical Institute of Bossey, che sarebbero dovuti venire a Roma, come negli anni precedenti, ma non hanno potuto a causa della pandemia e ci seguono attraverso i media. Cari fratelli e sorelle, rimaniamo uniti in Cristo: lo Spirito Santo, effuso nei nostri cuori, ci faccia sentire figli del Padre, fratelli e sorelle tra di noi, fratelli e sorelle nell’unica famiglia umana. La Santissima Trinità, comunione d’amore, ci faccia crescere nell’unità.