Il Papa all’Udienza: Il bene comune con la partecipazione di tutti,come risposta della società alla pandemia.
L’Udienza Generale di questa mattina si è svolta alle ore 9.15 nel Cortile di San Damaso del Palazzo Apostolico Vaticano. Nel discorso in lingua italiana il Papa, continuando il ciclo di catechesi sul tema: “Guarire il mondo”, ha incentrato la sua meditazione sull’argomento “Amore e bene comune” (Lettura: Mt 15,32-37). Un passaggio delle parole di Papa Francesco:” Il bene comune richiede la partecipazione di tutti. Se ognuno ci mette del suo, e se nessuno viene lasciato fuori, potremo rigenerare relazioni buone a livello comunitario, nazionale, internazionale e anche in armonia con l’ambiente (cfr LS, 236). Così nei nostri gesti, anche quelli più umili, si renderà visibile qualcosa dell’immagine di Dio che portiamo in noi, perché Dio è Trinità, Dio è amore. Questa è la più bella definizione di Dio della Bibbia. Ce la dà l’apostolo Giovanni, che tanto amava Gesù: Dio è amore. Con il suo aiuto, possiamo guarire il mondo lavorando tutti insieme per il bene comune, non solo per il proprio bene, ma per il bene comune, di tutti. Dopo aver riassunto la Sua catechesi in diverse lingue, il Santo Padre ha indirizzato particolari espressioni di saluto ai fedeli. Quindi ha rivolto un appello sulla prima Giornata internazionale della tutela dell’educazione dagli attacchi, nell’ambito dei conflitti armati. L’Udienza Generale si è conclusa con la recita del Pater Noster e la Benedizione Apostolica.
Catechesi del Santo Padre in lingua italiana
Cari fratelli e sorelle, buongiorno! La crisi che stiamo vivendo a causa della pandemia colpisce tutti; possiamo uscirne migliori se cerchiamo tutti insieme il bene comune; al contrario, usciremo peggiori. Purtroppo, assistiamo all’emergere di interessi di parte. Per esempio, c’è chi vorrebbe appropriarsi di possibili soluzioni, come nel caso dei vaccini e poi venderli agli altri. Alcuni approfittano della situazione per fomentare divisioni: per cercare vantaggi economici o politici, generando o aumentando conflitti. Altri semplicemente non si interessano della sofferenza altrui, passano oltre e vanno per la loro strada (cfr Lc 10,30-32). Sono i devoti di Ponzio Pilato, se ne lavano le mani.La risposta cristiana alla pandemia e alle conseguenti crisi socio-economiche si basa sull’amore, anzitutto l’amore di Dio che sempre ci precede (cfr 1 Gv 4,19). Lui ci ama per primo, Lui sempre ci precede nell’amore e nelle soluzioni. Lui ci ama incondizionatamente, e quando accogliamo questo amore divino, allora possiamo rispondere in maniera simile. Amo non solo chi mi ama: la mia famiglia, i miei amici, il mio gruppo, ma anche quelli che non mi amano, amo anche quelli che non mi conoscono, amo anche quelli che sono stranieri, e anche quelli che mi fanno soffrire o che considero nemici (cfr Mt 5,44). Questa è la saggezza cristiana, questo è l’atteggiamento di Gesù. E il punto più alto della santità, diciamo così, è amare i nemici, e non è facile. Certo, amare tutti, compresi i nemici, è difficile – direi che è un’arte! Però un’arte che si può imparare e migliorare. L’amore vero, che ci rende fecondi e liberi, è sempre espansivo e inclusivo. Questo amore cura, guarisce e fa bene. Tante volte fa più bene una carezza che tanti argomenti, una carezza di perdono e non tanti argomenti per difendersi. È l’amore inclusivo che guarisce. Dunque, l’amore non si limita alle relazioni fra due o tre persone, o agli amici, o alla famiglia, va oltre. Comprende i rapporti civici e politici (cfr Catechismo della Chiesa Cattolica [CCC], 1907-1912), incluso il rapporto con la natura (Enc. Laudato si’ [LS], 231). Poiché siamo esseri sociali e politici, una delle più alte espressioni di amore è proprio quella sociale e politica, decisiva per lo sviluppo umano e per affrontare ogni tipo di crisi (ibid., 231). Sappiamo che l’amore feconda le famiglie e le amicizie; ma è bene ricordare che feconda anche le relazioni sociali, culturali, economiche e politiche, permettendoci di costruire una “civiltà dell’amore”, come amava dire San Paolo VI[1] e, sulla scia, San Giovanni Paolo II. Senza questa ispirazione, prevale la cultura dell’egoismo, dell’indifferenza, dello scarto, cioè scartare quello a cui io non voglio bene, quello che io non posso amare o coloro che a me sembra sono inutili nella società. Oggi all’entrata una coppia mi ha detto: “Preghi per noi perché abbiamo un figlio disabile”. Io ho domandato: “Quanti anni ha? – Tanti – E cosa fate? – Noi lo accompagniamo, lo aiutiamo”. Tutta una vita dei genitori per quel figlio disabile. Questo è amore. E i nemici, gli avversari politici, secondo la nostra opinione, sembrano essere disabili politici e sociali, ma sembrano. Solo Dio sa se lo sono o no. Ma noi dobbiamo amarli, dobbiamo dialogare, dobbiamo costruire questa civiltà dell’amore, questa civiltà politica, sociale, dell’unità di tutta l’umanità. Tutto ciò è l’opposto di guerre, divisioni, invidie, anche delle guerre in famiglia. L’amore inclusivo è sociale, è familiare, è politico: l’amore pervade tutto!Il coronavirus ci mostra che il vero bene per ciascuno è un bene comune non solo individuale e, viceversa, il bene comune è un vero bene per la persona (cfr CCC, 1905-1906). Se una persona cerca soltanto il proprio bene è un egoista. Invece la persona è più persona, quando il proprio bene lo apre a tutti, lo condivide. La salute, oltre che individuale, è anche un bene pubblico. Una società sana è quella che si prende cura della salute di tutti.Un virus che non conosce barriere, frontiere o distinzioni culturali e politiche deve essere affrontato con un amore senza barriere, frontiere o distinzioni. Questo amore può generare strutture sociali che ci incoraggiano a condividere piuttosto che a competere, che ci permettono di includere i più vulnerabili e non di scartarli, e che ci aiutano ad esprimere il meglio della nostra natura umana e non il peggio. Il vero amore non conosce la cultura dello scarto, non sa cosa sia. Infatti, quando amiamo e generiamo creatività, quando generiamo fiducia e solidarietà, è lì che emergono iniziative concrete per il bene comune.[2] E questo vale sia a livello delle piccole e grandi comunità, sia a livello internazionale. Quello che si fa in famiglia, quello che si fa nel quartiere, quello che si fa nel villaggio, quello che si fa nella grande città e internazionalmente è lo stesso: è lo stesso seme che cresce e dà frutto. Se tu in famiglia, nel quartiere cominci con l’invidia, con la lotta, alla fine ci sarà la “guerra”. Invece, se tu incominci con l’amore, a condividere l’amore, il perdono, allora ci sarà l’amore e il perdono per tutti.Al contrario, se le soluzioni alla pandemia portano l’impronta dell’egoismo, sia esso di persone, imprese o nazioni, forse possiamo uscire dal coronavirus, ma certamente non dalla crisi umana e sociale che il virus ha evidenziato e accentuato. Quindi, state attenti a non costruire sulla sabbia (cfr Mt 7,21-27)! Per costruire una società sana, inclusiva, giusta e pacifica, dobbiamo farlo sopra la roccia del bene comune.[3] Il bene comune è una roccia. E questo è compito di tutti noi, non solo di qualche specialista. San Tommaso d’Aquino diceva che la promozione del bene comune è un dovere di giustizia che ricade su ogni cittadino. Ogni cittadino è responsabile del bene comune. E per i cristiani è anche una missione. Come insegna Sant’Ignazio di Loyola, orientare i nostri sforzi quotidiani verso il bene comune è un modo di ricevere e diffondere la gloria di Dio. Purtroppo, la politica spesso non gode di buona fama, e sappiamo il perché. Questo non vuol dire che i politici siano tutti cattivi, no, non voglio dire questo. Soltanto dico che purtroppo la politica spesso non gode di buona fama.
Ma non bisogna rassegnarsi a questa visione negativa, bensì reagire dimostrando con i fatti che è possibile, anzi, doverosa una buona politica,[4] quella che mette al centro la persona umana e il bene comune. Se voi leggete la storia dell’umanità troverete tanti politici santi che sono andati per questa strada. È possibile nella misura in cui ogni cittadino e, in modo particolare, chi assume impegni e incarichi sociali e politici, radica il proprio agire nei principi etici e lo anima con l’amore sociale e politico. I cristiani, in modo particolare i fedeli laici, sono chiamati a dare buona testimonianza di questo e possono farlo grazie alla virtù della carità, coltivandone l’intrinseca dimensione sociale.È dunque tempo di accrescere il nostro amore sociale – voglio sottolineare questo: il nostro amore sociale -, contribuendo tutti, a partire dalla nostra piccolezza. Il bene comune richiede la partecipazione di tutti. Se ognuno ci mette del suo, e se nessuno viene lasciato fuori, potremo rigenerare relazioni buone a livello comunitario, nazionale, internazionale e anche in armonia con l’ambiente (cfr LS, 236). Così nei nostri gesti, anche quelli più umili, si renderà visibile qualcosa dell’immagine di Dio che portiamo in noi, perché Dio è Trinità, Dio è amore. Questa è la più bella definizione di Dio della Bibbia. Ce la dà l’apostolo Giovanni, che tanto amava Gesù: Dio è amore. Con il suo aiuto, possiamo guarire il mondo lavorando tutti insieme per il bene comune, non solo per il proprio bene, ma per il bene comune, di tutti.
Rivolgo un cordiale saluto ai fedeli di lingua italiana, ed auguro che quest’incontro e la visita alle tombe degli Apostoli rinsaldino la vostra fede per una sempre più generosa testimonianza cristiana.Il mio pensiero va infine agli anziani, come sempre, ai giovani, ai malati e agli sposi novelli. Ieri abbiamo celebrato la memoria liturgica della Natività della Beata Vergine Maria. Il suo esempio e la sua materna intercessione ispirino e accompagnino la vostra vita. Oggi si celebra la prima Giornata internazionale della tutela dell’educazione dagli attacchi, nell’ambito dei conflitti armati. Invito a pregare per gli studenti che vengono privati così gravemente del diritto all’educazione, a causa di guerre e terrorismo. Esorto la Comunità internazionale ad adoperarsi affinché vengano rispettati gli edifici che dovrebbero proteggere i giovani studenti. Non venga meno lo sforzo per garantire ad essi ambienti sicuri per la formazione, soprattutto in situazioni di emergenza umanitaria.