Il Papa: Giuseppe ci insegna a non guardare tanto le cose che il mondo loda, ma a guardare quello che il mondo non vuole.

L’Udienza Generale di questa mattina si è svolta alle ore 9.05 nell’Aula Paolo VI dove il Santo Padre Francesco ha incontrato gruppi di pellegrini e fedeli provenienti dall’Italia e da ogni parte del mondo.Nel discorso in lingua italiana il Papa, iniziando un nuovo ciclo di catechesi, ha incentrato la Sua riflessione su San Giuseppe, sul tema: San Giuseppe e l’ambiente in cui è vissuto (cfr Lettura: Mi 5,1.2-3.4).Un passaggio delle parole del Papa:” Per Gesù, le periferie e le marginalità sono predilette. Non prendere sul serio questa realtà equivale a non prendere sul serio il Vangelo e l’opera di Dio, che continua a manifestarsi nelle periferie geografiche ed esistenziali. Il Signore agisce sempre di nascosto nelle periferie, anche nella nostra anima, nelle periferie dell’anima, dei sentimenti, forse sentimenti di cui ci vergogniamo; ma il Signore è lì per aiutarci ad andare avanti. Il Signore continua a manifestarsi nelle periferie, sia quelle geografiche, sia quelle esistenziali. In particolare, Gesù va a cercare i peccatori, entra nelle loro case, parla con loro, li chiama alla conversione. Ed è anche rimproverato per questo: “Ma guarda, questo Maestro – dicono i dottori della legge – guarda questo Maestro: mangia con i peccatori, si sporca, va a cercare quelli che il male non lo hanno fatto ma lo hanno subìto: i malati, gli affamati, i poveri, gli ultimi. Sempre Gesù va verso le periferie. E questo ci deve dare tanta fiducia, perché il Signore conosce le periferie del nostro cuore, le periferie della nostra anima, le periferie della nostra società, della nostra città, della nostra famiglia, cioè quella parte un po’ oscura che noi non facciamo vedere forse per vergogna. Sotto questo aspetto, la società di allora non è molto diversa dalla nostra. Anche oggi esistono un centro e una periferia. E la Chiesa sa che è chiamata ad annunciare la buona novella a partire dalle periferie. Giuseppe, che è un falegname di Nazaret e che si fida del progetto di Dio sulla sua giovane promessa sposa e su di lui, ricorda alla Chiesa di fissare lo sguardo su ciò che il mondo ignora volutamente. Oggi Giuseppe ci insegna questo: “Non guardare tanto le cose che il mondo loda, guarda agli angoli, guarda alle ombre, guarda alle periferie, quello che il mondo non vuole”.Dopo aver riassunto la Sua catechesi in diverse lingue, il Santo Padre ha indirizzato particolari espressioni di saluto ai gruppi di fedeli presenti. Quindi ha rivolto un appello per la Giornata nazionale di preghiera per le vittime e i sopravvissuti agli abusi, che ricorre domani, e per i lavoratori di Borgo Valbelluna. L’Udienza Generale si è conclusa con il canto del Pater Noster e la Benedizione Apostolica.

Catechesi del Santo Padre in lingua italiana

Cari fratelli e sorelle, buongiorno! L’8 dicembre 1870 il Beato Pio IX proclamò San Giuseppe patrono della Chiesa universale. A 150 anni da quell’evento, stiamo vivendo un anno speciale dedicato a San Giuseppe, e nella Lettera Apostolica Patris corde ho raccolto alcune riflessioni sulla sua figura. Mai come oggi, in questo tempo segnato da una crisi globale con diverse componenti, egli può esserci di sostegno, di conforto e di guida. Per questo ho deciso di dedicargli un ciclo di catechesi, che spero possano aiutarci ulteriormente a lasciarci illuminare dal suo esempio e dalla sua testimonianza. Per alcune settimane parleremo di San Giuseppe. Nella Bibbia esistono più di dieci personaggi che portano il nome Giuseppe. Il più importante tra questi è il figlio di Giacobbe e di Rachele, che, attraverso varie peripezie, da schiavo diventa la seconda persona più importante in Egitto dopo il faraone (cfr Gen 37-50). Il nome Giuseppe in ebraico significa “Dio accresca, Dio faccia crescere”. È un augurio, una benedizione fondata sulla fiducia nella provvidenza e riferita specialmente alla fecondità e alla crescita dei figli. In effetti, proprio questo nome ci rivela un aspetto essenziale della personalità di Giuseppe di Nazaret. Egli è un uomo pieno di fede nella sua provvidenza: crede nella provvidenza di Dio, ha fede nella provvidenza di Dio. Ogni sua azione narrata dal Vangelo è dettata dalla certezza che Dio “fa crescere”, che Dio “aumenta”, che Dio “aggiunge”, cioè che Dio provvede a mandare avanti il suo disegno di salvezza. E, in questo, Giuseppe di Nazaret assomiglia molto a Giuseppe d’Egitto. Anche i principali riferimenti geografici che si riferiscono a Giuseppe: Betlemme e Nazaret, assumono un ruolo importante nella comprensione della sua figura.Nell’Antico Testamento la città di Betlemme è chiamata con il nome Beth Lechem, cioè “Casa del pane”, o anche Efrata, a causa della tribù insediatasi in quel territorio. In arabo, invece, il nome significa “Casa della carne”, probabilmente per la grande quantità di greggi di pecore e capre presenti nella zona.

Non a caso, infatti, quando nacque Gesù, i pastori furono i primi testimoni dell’evento (cfr Lc 2,8-20). Alla luce della vicenda di Gesù, queste allusioni al pane e alla carne rimandano al mistero Eucaristico: Gesù è il pane vivo disceso dal cielo (cfr Gv 6,51). Egli stesso dirà di sé: «Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna» (Gv 6,54).Betlemme è citata più volte nella Bibbia, fin dal Libro della Genesi. A Betlemme è anche legata la storia di Rut e Noemi, narrata nel piccolo ma stupendo Libro di Rut. Rut partorì un figlio chiamato Obed dal quale a sua volta nacque Iesse, il padre del re Davide. E proprio dalla discendenza di Davide viene Giuseppe, il padre legale di Gesù. Su Betlemme, poi, il profeta Michea predisse grandi cose: «E tu Betlemme di Efrata, così piccola per essere tra i villaggi di Giuda, da te uscirà per me colui che deve essere il dominatore in Israele» (Mi 5,1). L’evangelista Matteo riprenderà questa profezia, la collegherà alla storia di Gesù come alla sua evidente realizzazione. In effetti, il Figlio di Dio non sceglie Gerusalemme come luogo della sua incarnazione, ma Betlemme e Nazaret, due villaggi periferici, lontani dai clamori della cronaca e del potere del tempo. Eppure Gerusalemme era la città amata dal Signore (cfr Is 62,1-12), la «città santa» (Dn 3,28), scelta da Dio per abitarvi (cfr Zc 3,2; Sal 132,13). Qui, infatti, risiedevano i dottori della Legge, gli scribi e i farisei, i capi dei sacerdoti e gli anziani del popolo (cfr Lc 2,46; Mt 15,1; Mc 3,22; Gv 1,19; Mt 26,3).Ecco perché la scelta di Betlemme e Nazaret ci dice che la periferia e la marginalità sono predilette da Dio. Gesù non nacque a Gerusalemme con tutta la corte …no: nacque in una periferia e ha trascorso la sua vita, fino a 30 anni, in quella periferia, facendo il falegname, come Giuseppe. Per Gesù, le periferie e le marginalità sono predilette. Non prendere sul serio questa realtà equivale a non prendere sul serio il Vangelo e l’opera di Dio, che continua a manifestarsi nelle periferie geografiche ed esistenziali. Il Signore agisce sempre di nascosto nelle periferie, anche nella nostra anima, nelle periferie dell’anima, dei sentimenti, forse sentimenti di cui ci vergogniamo; ma il Signore è lì per aiutarci ad andare avanti. Il Signore continua a manifestarsi nelle periferie, sia quelle geografiche, sia quelle esistenziali. In particolare, Gesù va a cercare i peccatori, entra nelle loro case, parla con loro, li chiama alla conversione. Ed è anche rimproverato per questo: “Ma guarda, questo Maestro – dicono i dottori della legge – guarda questo Maestro: mangia con i peccatori, si sporca, va a cercare quelli che il male non lo hanno fatto ma lo hanno subìto: i malati, gli affamati, i poveri, gli ultimi. Sempre Gesù va verso le periferie. E questo ci deve dare tanta fiducia, perché il Signore conosce le periferie del nostro cuore, le periferie della nostra anima, le periferie della nostra società, della nostra città, della nostra famiglia, cioè quella parte un po’ oscura che noi non facciamo vedere forse per vergogna. Sotto questo aspetto, la società di allora non è molto diversa dalla nostra.

Anche oggi esistono un centro e una periferia. E la Chiesa sa che è chiamata ad annunciare la buona novella a partire dalle periferie. Giuseppe, che è un falegname di Nazaret e che si fida del progetto di Dio sulla sua giovane promessa sposa e su di lui, ricorda alla Chiesa di fissare lo sguardo su ciò che il mondo ignora volutamente. Oggi Giuseppe ci insegna questo: “Non guardare tanto le cose che il mondo loda, guarda agli angoli, guarda alle ombre, guarda alle periferie, quello che il mondo non vuole”. Egli ricorda a ciascuno di noi di dare importanza a ciò che gli altri scartano. In questo senso è davvero un maestro dell’essenziale: ci ricorda che ciò che davvero vale non attira la nostra attenzione, ma esige un paziente discernimento per essere scoperto e valorizzato. Scoprire quello che vale. Chiediamo a lui di intercedere affinché tutta la Chiesa recuperi questo sguardo, questa capacità di discernere, questa capacità di valutare l’essenziale. Ripartiamo da Betlemme, ripartiamo da Nazaret.Vorrei oggi mandare un messaggio a tutti gli uomini e le donne che vivono le periferie geografiche più dimenticate del mondo o che vivono situazioni di marginalità esistenziale. Possiate trovare in San Giuseppe il testimone e il protettore a cui guardare. A lui possiamo rivolgerci con questa preghiera, preghiera “fatta in casa”, ma uscita dal cuore:

San Giuseppe,

tu che sempre ti sei fidato di Dio,

e hai fatto le tue scelte

guidato dalla sua provvidenza,

insegnaci a non contare tanto sui nostri progetti,

ma sul suo disegno d’amore.

Tu che vieni dalle periferie,

aiutaci a convertire il nostro sguardo

e a preferire ciò che il mondo scarta e mette ai margini.

Conforta chi si sente solo

e sostieni chi si impegna in silenzio

per difendere la vita e la dignità umana. Amen.

Domani in Italia si celebra la prima Giornata nazionale di preghiera per le vittime e i sopravvissuti agli abusi, promossa dalla Conferenza Episcopale. Auspico che questa iniziativa possa essere occasione di riflessione, di sensibilizzazione e di preghiera per sostenere i cammini di recupero umano e spirituale delle vittime. È dovere imprescindibile di quanti hanno qualche responsabilità educativa in famiglia, in parrocchia, nella scuola, nei luoghi ricreativi e sportivi, proteggere e rispettare gli adolescenti e i ragazzi loro affidati, perché è proprio in questi posti che succedono la maggior parte degli abusi.Il mio pensiero va ai lavoratori di Borgo Valbelluna e della zona, preoccupati per il loro futuro lavorativo. Di fronte ai loro assillanti problemi, mi unisco ai Vescovi e ai parroci del territorio, esprimendo la mia vicinanza. Rivolgo un accorato appello, affinché in questa situazione, così come in altre simili che mettono in difficoltà tante famiglie, non prevalga la logica del profitto, ma quella della condivisione equa e solidale. Al centro di ogni questione lavorativa, va sempre posta la persona e la sua dignità; quando non si guadagna il pane, si perde la dignità! Dobbiamo pregare tanto per questa gente.

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