Il ricordo di Rosario Livatino il Giudice credente e credibile ,a 29 anni dalla sua uccisione.

LA STELE IN RICORDO DEL GIUDICE ROSARIO LIVATINO

Fin dal primo giorno da magistrato, ad appena 26 anni il Giudice Rosario Livatino sulla sua agenda aveva scritto: “Che Iddio mi accompagni e mi aiuti a rispettare il giuramento e a comportarmi nel modo che l’educazione, che i miei genitori mi hanno impartito, esige” .Codice e Vangelo dunque. Così ogni mattina, prima di entrare in tribunale ad Agrigento, andava a pregare nelle vicina chiesa di San Giuseppe. Aveva solo 38 anni il giudice Rosario Livatino quando la mattina del 21 settembre 1990 venne inseguito e ucciso lungo la strada statale ss640 che da Agrigento porta a Caltanissetta.Come tutte le mattine stava raggiungendo da Canicattì, dove viveva coi genitori, il tribunale di Agrigento. Sul viadotto Gasena della statale 640 viene affiancato da una moto e un’auto che lo bloccano. Dopo i primi colpi, tenta di fuggire ma uno dei killer lo raggiunge. Sette colpi, l’ultimo sul volto. Killer e mandanti, grazie alla coraggiosa testimonianza di Pietro Nava, presente in quel momento, sono stati individuati e condannati. E Rosario ha continuato a parlare. Anche a uno dei suoi killer, Gaetano Puzzangaro, che in carcere si è pentito, testimoniando per la causa di beatificazione a partire dalle ultime parole di Livatino: “Cosa vi ho fatto?”.Il Giudice Livatino è stato dichiarato martire della Giustizia e servo di Dio. Livatino aveva toccato grandi inchieste, indagando sull’intreccio tra mafia e affari, delineando così il “sistema della corruzione”.Nella scarpata dove Rosario Livatino aveva tentato di sfuggire ai killer mafiosi venne trovata la sua agenda di lavoro. “Il compito del magistrato – leggiamo in un intervento su “Fede e diritto” del 1986 – è quello di decidere. Orbene, decidere è scegliere e, a volte, tra numerose cose o strade o soluzioni. E scegliere è una delle cose più difficili che l’uomo sia chiamato a fare. Ed è proprio in questo scegliere per decidere, decidere per ordinare, che il Magistrato credente può trovare un rapporto con Dio. Un rapporto diretto, perché il rendere giustizia è realizzazione di sé, è preghiera, è dedizione di sé a Dio. Un rapporto indiretto per il tramite dell’amore verso la persona giudicata”. Un rapporto che Livatino sentiva profondamente. “La giustizia – scriveva ancora – è necessaria, ma non sufficiente, e può e deve essere superata dalla legge della carità che è la legge dell’amore, amore verso il prossimo e verso Dio”. Parole incarnate in gesti concreti. Nato a Canicattì il 3 ottobre 1952 da papà Vittorio e mamma Rosalia, si laurea a 22 anni col massimo dei voti. Nel 1978 comincia come uditore a Caltanissetta passando poi al Tribunale di Agrigento, dove come sostituto procuratore, dal ’79 all’89, si occupa delle più delicate inchieste di mafia ma anche della prima “tangentopoli siciliana”. Il 21 agosto 1989 entra in servizio come giudice a latere e si occupa dei sequestri dei beni mafiosi, tra i primi magistrati siciliani ad applicare la legge Rognoni-La Torre che introduceva questa nuova forma di contrasto. E lo fa molto bene, al punto da essere un pericolo per gli interessi mafiosi. Scriveva: “Che il Signore mi protegga ed eviti che qualcosa di male venga da me ai miei genitori”. Ma non volle mai la scorta. “Non voglio che altri padri di famiglia debbano pagare per causa mia”. Una frase rimane scolpita nei cuori delle persone perbene da sempre e per sempre del Giudice Livatino “Quando moriremo, nessuno ci verrà a chiedere quanto siamo stati credenti, ma credibili”.

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