Incontro di Papa Francesco con le Autorità, la Società Civile e il Corpo Diplomatico presso il Centro Cultural de Belém di Lisbona
Alle ore 12.20 locali (13.20 ora di Roma), il Santo Padre Francesco ha incontrato le Autorità, la Società Civile e il Corpo Diplomatico presso il Centro Cultural de Belém di Lisbona.
Al Suo arrivo il Papa è stato accolto dal Presidente della Repubblica del Portogallo, S.E. il Sig. Marcelo Rebelo de Sousa, all’entrata laterale del Centro ed insieme si sono recati sul palco.
Dopo il discorso introduttivo del Presidente, il Santo Padre ha pronunciato il Suo discorso.
Al termine dell’incontro, dopo essersi congedato dal Presidente della Repubblica, Papa Francesco si è trasferito in auto alla Nunziatura Apostolica di Lisbona dove, dopo l’accoglienza all’ingresso del personale della Nunziatura, ha pranzato in privato.
Pubblichiamo di seguito il discorso che il Papa ha pronunciato nel corso dell’incontro con le Autorità, la Società Civile e il Corpo Diplomatico:
Discorso del Santo Padre
Signor Presidente della Repubblica,
Signor Presidente dell’Assemblea della Repubblica,
Signor Primo Ministro,
Membri del Governo e del Corpo diplomatico,
Autorità, Rappresentanti della società civile e del mondo della cultura,
Signore e Signori!
Vi saluto cordialmente e ringrazio il Signor Presidente per l’accoglienza e per le cortesi parole che mi ha rivolto – è molto accogliente il Presidente, grazie! Sono felice di essere a Lisbona, città dell’incontro che abbraccia vari popoli e culture e che diventa in questi giorni ancora più universale; diventa, in un certo senso, la capitale del mondo, la capitale del futuro, perché i giovani sono futuro. Ciò ben si adatta al suo carattere multietnico e multiculturale – penso al quartiere Mouraria, dove vivono in armonia persone provenienti da più di sessanta Paesi – e rivela il tratto cosmopolita del Portogallo, che affonda le radici nel desiderio di aprirsi al mondo e di esplorarlo, navigando verso orizzonti nuovi e più vasti.
Non lontano da qui, a Cabo da Roca, è scolpita la frase di un grande poeta di questa città: «Aqui… onde a terra se acaba e o mar começa» (L. Vaz de Camões, Os Lusíadas, VIII). Per secoli si credeva che lì vi fosse il confine del mondo, e in un certo senso è vero: ci troviamo ai confini del mondo perché questo Paese confina con l’oceano, che delimita i continenti. Lisbona ne porta l’abbraccio e il profumo. Mi piace associarmi a quanto amano cantare i portoghesi: «Lisboa tem cheiro de flores e de mar» (A. Rodrigues, Cheira bem, cheira a Lisboa, 1972). Un mare che è molto più di un elemento paesaggistico, è una chiamata impressa nell’animo di ogni portoghese: «mar sonoro, mar sem fundo, mar sem fin» l’ha chiamato una poetessa locale (S. de Mello Breyner Andresen, Mar sonoro). Davanti all’oceano, i portoghesi riflettono sugli immensi spazi dell’anima e sul senso della vita nel mondo. E anch’io, lasciandomi trasportare dall’immagine dell’oceano, vorrei condividere alcuni pensieri.
Secondo la mitologia classica, Oceano è figlio del cielo (Urano): la sua vastità porta i mortali a guardare in alto e a elevarsi verso l’infinito. Ma, al contempo, Oceano è figlio della terra (Gea) che abbraccia, invitando così ad avvolgere di tenerezza l’intero mondo abitato. L’oceano, infatti, non collega solo popoli e Paesi, ma terre e continenti; perciò Lisbona, città dell’oceano, richiama all’importanza dell’insieme, a pensare i confini come zone di contatto, non come frontiere che separano. Sappiamo che oggi le grandi questioni sono globali, eppure spesso sperimentiamo l’inefficacia nel rispondervi proprio perché davanti a problemi comuni il mondo è diviso, o per lo meno non abbastanza coeso, incapace di affrontare unito ciò che mette in crisi tutti. Sembra che le ingiustizie planetarie, le guerre, le crisi climatiche e migratorie corrano più veloci della capacità, e spesso della volontà, di fronteggiare insieme tali sfide.
Lisbona può suggerire un cambio di passo. Qui nel 2007 è stato firmato l’omonimo Trattato di riforma dell’Unione Europea. Esso afferma che «l’Unione si prefigge di promuovere la pace, i suoi valori e il benessere dei suoi popoli» (Trattato di Lisbona che modifica il Trattato sull’Unione Europea e il Trattato che istituisce la Comunità europea, art. 1,4/2.1); ma va oltre, asserendo che «nelle relazioni con il resto del mondo […] contribuisce alla pace, alla sicurezza, allo sviluppo sostenibile della Terra, alla solidarietà e al rispetto reciproco tra i popoli, al commercio libero ed equo, all’eliminazione della povertà e alla tutela dei diritti umani» (art. 1,4/2.5). Non sono solo parole, ma pietre miliari per il cammino della comunità europea, scolpite nella memoria di questa città. Ecco lo spirito dell’insieme, animato dal sogno europeo di un multilateralismo più ampio del solo contesto occidentale.
Secondo un’etimologia discussa, il nome Europa deriverebbe proprio da una parola che indica la direzione di occidente. È certo invece che Lisbona è la capitale più a ovest dell’Europa continentale. Essa richiama dunque la necessità di aprire vie di incontro più vaste, come il Portogallo già fa, soprattutto con Paesi di altri continenti accomunati dalla stessa lingua. Auspico che la Giornata Mondiale della Gioventù sia, per il “vecchio continente” – possiamo dire l’“anziano” continente -, un impulso di apertura universale, cioè un impulso di apertura che lo renda più giovane. Perché di Europa, di vera Europa, il mondo ha bisogno: ha bisogno del suo ruolo di pontiere e di paciere nella sua parte orientale, nel Mediterraneo, in Africa e in Medio Oriente. Così l’Europa potrà apportare, all’interno dello scenario internazionale, la sua specifica originalità, delineatasi nel secolo scorso quando, dal crogiuolo dei conflitti mondiali, fece scoccare la scintilla della riconciliazione, inverando il sogno di costruire il domani con il nemico di ieri, di avviare percorsi di dialogo, percorsi di inclusione, sviluppando una diplomazia di pace che spenga i conflitti e allenti le tensioni, capace di cogliere i segnali di distensione più flebili e di leggere tra le righe più storte.
Nell’oceano della storia, stiamo navigando in un frangente tempestoso e si avverte la mancanza di rotte coraggiose di pace. Guardando con accorato affetto all’Europa, nello spirito di dialogo che la caratterizza, verrebbe da chiederle: verso dove navighi, se non offri percorsi di pace, vie creative per porre fine alla guerra in Ucraina e ai tanti conflitti che insanguinano il mondo? E ancora, allargando il campo: quale rotta segui, Occidente? La tua tecnologia, che ha segnato il progresso e globalizzato il mondo, da sola non basta; tanto meno bastano le armi più sofisticate, che non rappresentano investimenti per il futuro, ma impoverimenti del vero capitale umano, quello dell’educazione, della sanità, dello stato sociale. Preoccupa quando si legge che in tanti luoghi si investono continuamente fondi sulle armi anziché sul futuro dei figli. E questo è vero. Mi diceva l’economo, alcuni giorni fa, che il migliore reddito di investimenti è nella fabbricazione di armi. Si investe più sulle armi che sul futuro dei figli. Io sogno un’Europa, cuore d’Occidente, che metta a frutto il suo ingegno per spegnere focolai di guerra e accendere luci di speranza; un’Europa che sappia ritrovare il suo animo giovane, sognando la grandezza dell’insieme e andando oltre i bisogni dell’immediato; un’Europa che includa popoli e persone con la loro propria cultura, senza rincorrere teorie e colonizzazioni ideologiche. E questo ci aiuterà a pensare ai sogni dei padri fondatori dell’Unione europea: questi sognavano alla grande!
L’oceano, immensa distesa d’acqua, richiama le origini della vita. Nel mondo evoluto di oggi è divenuto paradossalmente prioritario difendere la vita umana, messa a rischio da derive utilitariste, che la usano e la scartano: la cultura dello scarto della vita. Penso a tanti bambini non nati e anziani abbandonati a sé stessi, alla fatica di accogliere, proteggere, promuovere e integrare chi viene da lontano e bussa alle porte, alla solitudine di molte famiglie in difficoltà nel mettere al mondo e crescere dei figli. Verrebbe anche qui da dire: verso dove navigate, Europa e Occidente, con lo scarto dei vecchi, i muri col filo spinato, le stragi in mare e le culle vuote? Verso dove navigate? Dove andate se, di fronte al male di vivere, offrite rimedi sbrigativi e sbagliati, come il facile accesso alla morte, soluzione di comodo che appare dolce, ma in realtà è più amara delle acque del mare? E penso a tante leggi sofisticate sull’eutanasia.
Lisbona, abbracciata dall’oceano, ci dà però motivo di sperare, è città della speranza. Un oceano di giovani si sta riversando in quest’accogliente città; e io vorrei ringraziare per il grande lavoro e il generoso impegno profusi dal Portogallo per ospitare un evento così complesso da gestire, ma fecondo di speranza. Come si dice da queste parti: «Accanto ai giovani, uno non invecchia». Giovani provenienti da tutto il mondo, che coltivano i desideri dell’unità, della pace e della fraternità, giovani che sognano ci provocano a realizzare i loro sogni di bene. Non sono nelle strade a gridare rabbia, ma a condividere la speranza del Vangelo, la speranza della vita. E se da molte parti oggi si respira un clima di protesta e insoddisfazione, terreno fertile per populismi e complottismi, la Giornata Mondiale della Gioventù è occasione per costruire insieme. Rinverdisce il desiderio di creare novità, di prendere il largo e navigare insieme verso il futuro. Vengono in mente alcune parole ardite di Pessoa: «Navigare è necessario, vivere non è necessario […]; quello che serve è creare» (Navegar é preciso). Diamoci dunque da fare con creatività per costruire insieme! Immagino tre cantieri di speranza in cui possiamo lavorare tutti uniti: l’ambiente, il futuro, la fraternità.
L’ambiente. Il Portogallo condivide con l’Europa tanti sforzi esemplari per la protezione del creato. Ma il problema globale rimane estremamente serio: gli oceani si surriscaldano e i loro fondali portano a galla la bruttezza con cui abbiamo inquinato la casa comune. Stiamo trasformando le grandi riserve di vita in discariche di plastica. L’oceano ci ricorda che la vita dell’uomo è chiamata ad armonizzarsi con un ambiente più grande di noi, che va custodito, va custodito con premura, pensando alle giovani generazioni. Come possiamo dire di credere nei giovani, se non diamo loro uno spazio sano per costruire il futuro?
Il futuro è il secondo cantiere. E il futuro sono i giovani. Ma tanti fattori li scoraggiano, come la mancanza di lavoro, i ritmi frenetici in cui sono immersi, l’aumento del costo della vita, la fatica a trovare un’abitazione e, ancora più preoccupante, la paura di formare famiglie e mettere al mondo dei figli. In Europa e, più in generale, in Occidente, si assiste a una fase discendente della curva demografica: il progresso sembra una questione riguardante gli sviluppi della tecnica e gli agi dei singoli, mentre il futuro chiede di contrastare la denatalità e il tramonto della voglia di vivere. La buona politica può fare molto in questo, può essere generatrice di speranza. Essa, infatti, non è chiamata a detenere il potere, ma a dare alla gente il potere di sperare. È chiamata, oggi più che mai, a correggere gli squilibri economici di un mercato che produce ricchezze, ma non le distribuisce, impoverendo di risorse e certezze gli animi. È chiamata a riscoprirsi generatrice di vita e di cura, a investire con lungimiranza sull’avvenire, sulle famiglie e sui figli, a promuovere alleanze intergenerazionali, dove non si cancelli con un colpo di spugna il passato, ma si favoriscano i legami tra giovani e anziani. Questo dobbiamo riprenderlo: il dialogo tra giovani e anziani. A questo richiama il sentimento della saudade portoghese, la quale esprime una nostalgia, un desiderio di bene assente, che rinasce solo a contatto con le proprie radici. I giovani devono trovare le proprie radici negli anziani. In tal senso è importante l’educazione, che non può solo impartire nozioni tecniche per progredire economicamente, ma è destinata a immettere in una storia, a consegnare una tradizione, a valorizzare il bisogno religioso dell’uomo e a favorire l’amicizia sociale.
L’ultimo cantiere di speranza è quello della fraternità, che noi cristiani impariamo dal Signore Gesù Cristo. In tante parti del Portogallo il senso del vicinato e la solidarietà sono molto vivi. Però, nel contesto generale di una globalizzazione che ci avvicina, ma non ci dà la prossimità fraterna, tutti siamo chiamati a coltivare il senso della comunità, a partire dalla ricerca di chi ci abita accanto. Perché, come notò Saramago, «ciò che dà il vero senso all’incontro è la ricerca, e bisogna fare molta strada per raggiungere ciò che è vicino» (Todos os nomes, 1997). Com’è bello riscoprirci fratelli e sorelle, lavorare per il bene comune lasciando alle spalle contrasti e diversità di vedute! Anche qui ci sono d’esempio i giovani che, con il loro grido di pace e la loro voglia di vita, ci portano ad abbattere i rigidi steccati di appartenenza eretti in nome di opinioni e credo diversi. Ho saputo di tanti giovani che qui coltivano il desiderio di farsi prossimi; penso all’iniziativa Missão País, che porta migliaia di ragazzi a vivere nello spirito del Vangelo esperienze di solidarietà missionaria nelle zone periferiche, specialmente nei villaggi all’interno del Paese, andando a trovare molti anziani soli, e questo è un’ “unzione” per la gioventù. Vorrei ringraziare e incoraggiare, accanto ai tanti che nella società portoghese si occupano degli altri, la Chiesa locale, che fa tanto bene, lontana dalla luce dei riflettori.
Fratelli e sorelle, sentiamoci tutti insieme chiamati, fraternamente, a dare speranza al mondo in cui viviamo e a questo magnifico Paese. Deus abençoe Portugal!